Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.
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Uno degli scopi di questo blog è di segnalare i migliori monasteri d'Italia in cui poter fare un'esperienza vocazionale. Alle ragazze del Friuli-Venezia Giulia segnalo il monastero di stretta osservanza delle Suore Clarisse, sito in Piazza Sant'Antonio, 2/B - 34170 Gorizia. La Madre badessa è suor Maria Amata Anelli.
Le Clarisse di Gorizia si caratterizzano per l'ardente devozione alla Madonna e per la "pietas cristiana" con cui partecipano al Santo Sacrificio della Messa. Secondo il giornalista Camillo Langone, nella loro chiesetta viene celebrata una delle migliori Messe del nord-est. Il loro monastero è una vera e propria oasi di pace e di vita cristiana.
Forse qualche lettore del blog pensa che in fondo i monasteri sono tutti uguali. In realtà ci sono monasteri dove si vive in maniera fervorosa e devota, osservando fedelmente la propria Regola monastica, mentre in altri monasteri è subentrato un certo rilassamento che ha portato ad uno stile di vita tiepido e poco attraente. Sant'Alfonso Maria de Liguori, grande Dottore della Chiesa, è stato un zelante apostolo delle vocazioni religiose. Nei suoi scritti diceva ai giovani vocati di scegliere di entrare in un monastero di stretta osservanza, poiché è meglio restare a casa propria anziché entrare in un monastero rilassato, dove, come dimostra l'esperienza, si viene derisi e trascinati al rilassamento dagli altri religiosi.
La vita religiosa è bella solo se viene vissuta in maniera profonda e fervorosa, altrimenti è meglio restare nel mondo. Fortunatamente, dopo la burrasca degli anni settanta, adesso stanno fiorendo vari monasteri che attraggono molte vocazioni grazie ad uno stile di vita autenticamente religioso. In questi monasteri si vive da vere religiose, senza compromessi con la mondanità e il rilassamento. Quante benedizioni piovono dal Cielo grazie alla vita di penitenza e preghiera delle zelanti seguaci di Santa Chiara! Preghiamo per loro affinché rimangano fedeli alla propria Regola e non facciano la fine di quei monasteri che si sono rilassati.
Alle persone attratte dalla vita consacrata, consiglio di visitare il blog sulla vocazione.
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).
Nel secondo Libro dei Re, la Sacra Scrittura racconta che Naaman, uomo ricco e potente, favorito del re di Siria che lo aveva fatto generale di tutto il suo esercito, era malato di lebbra. Egli, avendo sentito dire che in Samaria c'era un Profeta, Eliseo, che guariva ogni genere di malattie e risuscitava persino i morti, volle andare da lui e si fornì di lettera di presentazione del re di Siria per il re d'Israele, perché lo facesse ricevere immediatamente dal Profeta e guarire. Naaman partì per la Samaria con gran seguito di cavalli e di cocchi. Giunto da Eliseo, entrarono da lui i servi per l'ambasciata, e il Profeta, senza uscir fuori, mandò a dire a Naaman: Vada al Giordano e si lavi sette volte in quell'acqua. Naaman si sdegnò. Credevo che il Profeta mi venisse incontro e con grandi cerimonie operasse la mia guarigione, che mi toccasse con le sue mani le parti malate, che t’invocasse sopra di me il nome del suo Dio; invece tutto sta nell'andare ad immergermi nel Giordano! Non ci sono forse in Siria fiumi migliori di questo? Andiamo! Per questo non era necessario venire fin qua!
E comandò che si tornasse al loro paese, quando i servi più avveduti di lui gli dissero:
- Signore, se il profeta ti avesse proposto qualcosa di difficile, non l'avresti forse fatta, pur di riacquistare la salute? quanto più non dovrai fare ciò che ti ha detto, essendo tanto facile? Il Giordano è qui vicino; vacci e lavati!
Naaman si persuase, andò al Giordano, vi si immerse sette volte e la sua pelle tornò fresca e monda come quando era bambino (II Reg. 5, 1-19).
Osservate come la sanità dipendeva proprio da una cosa che pareva tanto piccola e di poco momento. Lo stesso avviene nelle cose spirituali: il nostro progresso e la nostra perfezione dipendono dalle piccole prescrizioni delle nostre regole; come in un dipinto la perfezione dell'immagine spesso non è data che da qualche tratto di pennello e da lievi tratteggi. Se per conseguire la perfezione fosse necessario compiere cose ardue e difficili, senza dubbio non lasceremmo di farle, anzi le crederemmo più necessarie quanto più costano; quanto più non si dovranno fare allo stesso scopo le cose piccole e facili? Il fatto che le regole ci comandano cose leggere e facili ad osservarsi, non solamente non ci deve permettere di essere negligenti, ma deve spingerci ad un'osservanza più alacre, perché a cose tanto piccole e facili è annesso il nostro progresso nella perfezione.
Si racconta nel libro degli uomini illustri dell'Ordine cistercense che una delle loro regole prescriveva di raccogliere le briciole di pane cadute sulla mensa e di porle in un piatto. Una volta uno di quei monaci timorati di Dio e osservanti della regola aveva raccolte le briciole in mano e, assorto nella contemplazione di quello che leggeva il lettore, continuava a tenersele strette, quando il priore diede il segno di smettere la lettura e di alzarsi. Il monaco allora rientrò in sé e rimase perplesso, perché non poteva più né metterle nel piatto, né mangiarle e, molto confuso per la sua negligenza nell'osservanza di quella regola, non trovò di meglio da fare che andare dal superiore, confessare la colpa e chiedere la penitenza. Difatti, con le briciole strette nel pugno, finito il ringraziamento, si prostra ai piedi del superiore, manifesta la colpa commessa e con molta umiltà chiede di essere punito. Il superiore lo ammonì secondo la gravità della colpa e poi gli domandò cosa avesse fatto delle briciole.
- Padre - rispose -, eccole, le ho qui, in mano.
- Mostramele.
Il monaco stende la mano, l'apre e, invece delle briciole, trova alcune perle preziosissime. L'autore osserva che Nostro Signore volle farci comprendere con questo miracolo quanto gli piacciano i religiosi fervorosi che fanno molto caso non solo delle regole importanti, ma anche di quelle piccole. Questo episodio lo narra Surio nella vita di S. Oddone abate e dice che questo accadde al santo quando era suddito, mentre egli per umiltà lo riferisce come se fosse accaduto ad altro religioso (SURIUS, Novem., Vita S. Odon. Abbatis).
Narra Cesario che al tempo dell'imperatore Federico si rese vacante una delle abbazie dette imperiali, perché l'imperatore provvedeva alla nomina dell'abate. Essendo stati eletti due monaci e non trovandosi un accordo, uno di essi offrì all'imperatore una somma di denaro, che aveva accumulato in monastero, per essere il preferito. Federico accettò il denaro e promise di eleggerlo. Ma, essendo stato informato che il suo competitore era un ottimo religioso, semplice, virtuoso e osservantissimo della regola, si consigliò con i suoi cortigiani circa il modo di eleggere questo, più meritevole, lasciando da parte l'altro. Uno dei cortigiani gli disse:
- Signore, ho sentito dire che questi monaci hanno per regola di portare sempre con sé un ago da cucire; ora, quando Vostra Maestà si troverà in capitolo, chieda al meno osservante in prestito l'ago per pulirsi le unghie; se quello non glielo potrà dare, avrà in ciò una buona occasione per non affidargli l'abbazia, come a monaco che non osserva la regola.
L'imperatore fece così; e poiché il monaco non possedeva l'ago, rivolto al suo competitore disse:
- Padre, prestami il tuo ago.
Quello lo prese e glielo diede; allora l'imperatore disse:
- Padre, tu sei un monaco esemplare e perciò degno di tanto onore; avevo deciso di eleggere il tuo competitore, ma egli se ne è mostrato indegno per l'inosservanza della regola, ciò che si vede dalla negligenza nelle piccole cose; difatti, se non osserva queste, con maggiore probabilità non osserverà le più grandi.
Tolse così l'abbazia al primo, per darla al monaco osservante (Dial., l. 6, c. 15).
Lo stesso Cesario racconta che una nobildonna voleva lasciare il mondo e farsi monaca in un monastero di cui era vicario un certo monaco di nome Plorino. Il giorno del commiato fece un banchetto invitando parenti ed amici e tra essi il vicario. Agli altri invitati fu servita la carne, ma al religioso fu servito del pesce, perché in osservanza della regola e delle disposizioni avute dall'abate, non poteva mangiare carne. Ma egli, vedendo la carne, ne ebbe voglia e con grazia prese un boccone dal piatto del vicino e lo portò alla bocca. Giusto giudizio di Dio! Il boccone si mise in tal modo in gola che non poteva né mandarlo giù, né rimetterlo. Stando quasi per soffocare e sul punto di spirare, un altro religioso presente con un colpo sulla nuca gli fece rimettere il boccone. Tutti compresero che ciò era accaduto in pena della sua disobbedienza (Ibid. l. 4, c. 30).
Nelle Cronache dell'Ordine domenicano fra Perdinando del Castillo racconta che nel tempo in cui S. Domenico viveva nel Convento di Bologna, un demonio cominciò a tormentare improvvisamente un fratello laico con tanta crudeltà, che al rumore dei colpi gli altri religiosi si svegliarono; per ordine del santo, il frate fu portato in Chiesa e con tanta fatica che dieci frati a stento poterono trasportarlo. Appena oltrepassata la soglia un soffio spense tutte le lampade, in modo che rimasero tutti al buio mentre il demonio continuava a tormentare il povero frate. Il santo gli comandò allora in nome di Gesù Cristo di dire perché era entrato in quel frate e continuava a tormentarlo. E il demonio rispose:
- Perché questo pomeriggio ha bevuto senza permesso e senza farsi prima il segno di croce, come stabiliscono le usanze dell'Ordine.
In quel frattempo suonò il mattutino e il demonio disse:
- Non posso rimaner qui, perché ormai i frati dalle cocolle si alzano per venire a lodare Dio.
E lasciò il frate mezzo morto e tanto pieno di ecchimosi, che per due giorni non potette stare in piedi (Part. I, l. 1, c. 60).
S. Gregorio racconta un esempio simile di una monaca, che mangiò una lattuga senza farci sopra il segno della croce ed il demonio entrò in lei (Dialog., l. 1, c. 4).
[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].
Alle persone attratte dalla vita consacrata, consiglio di visitare il blog sulla vocazione.
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).
Nel secondo Libro dei Re, la Sacra Scrittura racconta che Naaman, uomo ricco e potente, favorito del re di Siria che lo aveva fatto generale di tutto il suo esercito, era malato di lebbra. Egli, avendo sentito dire che in Samaria c'era un Profeta, Eliseo, che guariva ogni genere di malattie e risuscitava persino i morti, volle andare da lui e si fornì di lettera di presentazione del re di Siria per il re d'Israele, perché lo facesse ricevere immediatamente dal Profeta e guarire. Naaman partì per la Samaria con gran seguito di cavalli e di cocchi. Giunto da Eliseo, entrarono da lui i servi per l'ambasciata, e il Profeta, senza uscir fuori, mandò a dire a Naaman: Vada al Giordano e si lavi sette volte in quell'acqua. Naaman si sdegnò. Credevo che il Profeta mi venisse incontro e con grandi cerimonie operasse la mia guarigione, che mi toccasse con le sue mani le parti malate, che t’invocasse sopra di me il nome del suo Dio; invece tutto sta nell'andare ad immergermi nel Giordano! Non ci sono forse in Siria fiumi migliori di questo? Andiamo! Per questo non era necessario venire fin qua!
E comandò che si tornasse al loro paese, quando i servi più avveduti di lui gli dissero:
- Signore, se il profeta ti avesse proposto qualcosa di difficile, non l'avresti forse fatta, pur di riacquistare la salute? quanto più non dovrai fare ciò che ti ha detto, essendo tanto facile? Il Giordano è qui vicino; vacci e lavati!
Naaman si persuase, andò al Giordano, vi si immerse sette volte e la sua pelle tornò fresca e monda come quando era bambino (II Reg. 5, 1-19).
Osservate come la sanità dipendeva proprio da una cosa che pareva tanto piccola e di poco momento. Lo stesso avviene nelle cose spirituali: il nostro progresso e la nostra perfezione dipendono dalle piccole prescrizioni delle nostre regole; come in un dipinto la perfezione dell'immagine spesso non è data che da qualche tratto di pennello e da lievi tratteggi. Se per conseguire la perfezione fosse necessario compiere cose ardue e difficili, senza dubbio non lasceremmo di farle, anzi le crederemmo più necessarie quanto più costano; quanto più non si dovranno fare allo stesso scopo le cose piccole e facili? Il fatto che le regole ci comandano cose leggere e facili ad osservarsi, non solamente non ci deve permettere di essere negligenti, ma deve spingerci ad un'osservanza più alacre, perché a cose tanto piccole e facili è annesso il nostro progresso nella perfezione.
Si racconta nel libro degli uomini illustri dell'Ordine cistercense che una delle loro regole prescriveva di raccogliere le briciole di pane cadute sulla mensa e di porle in un piatto. Una volta uno di quei monaci timorati di Dio e osservanti della regola aveva raccolte le briciole in mano e, assorto nella contemplazione di quello che leggeva il lettore, continuava a tenersele strette, quando il priore diede il segno di smettere la lettura e di alzarsi. Il monaco allora rientrò in sé e rimase perplesso, perché non poteva più né metterle nel piatto, né mangiarle e, molto confuso per la sua negligenza nell'osservanza di quella regola, non trovò di meglio da fare che andare dal superiore, confessare la colpa e chiedere la penitenza. Difatti, con le briciole strette nel pugno, finito il ringraziamento, si prostra ai piedi del superiore, manifesta la colpa commessa e con molta umiltà chiede di essere punito. Il superiore lo ammonì secondo la gravità della colpa e poi gli domandò cosa avesse fatto delle briciole.
- Padre - rispose -, eccole, le ho qui, in mano.
- Mostramele.
Il monaco stende la mano, l'apre e, invece delle briciole, trova alcune perle preziosissime. L'autore osserva che Nostro Signore volle farci comprendere con questo miracolo quanto gli piacciano i religiosi fervorosi che fanno molto caso non solo delle regole importanti, ma anche di quelle piccole. Questo episodio lo narra Surio nella vita di S. Oddone abate e dice che questo accadde al santo quando era suddito, mentre egli per umiltà lo riferisce come se fosse accaduto ad altro religioso (SURIUS, Novem., Vita S. Odon. Abbatis).
Narra Cesario che al tempo dell'imperatore Federico si rese vacante una delle abbazie dette imperiali, perché l'imperatore provvedeva alla nomina dell'abate. Essendo stati eletti due monaci e non trovandosi un accordo, uno di essi offrì all'imperatore una somma di denaro, che aveva accumulato in monastero, per essere il preferito. Federico accettò il denaro e promise di eleggerlo. Ma, essendo stato informato che il suo competitore era un ottimo religioso, semplice, virtuoso e osservantissimo della regola, si consigliò con i suoi cortigiani circa il modo di eleggere questo, più meritevole, lasciando da parte l'altro. Uno dei cortigiani gli disse:
- Signore, ho sentito dire che questi monaci hanno per regola di portare sempre con sé un ago da cucire; ora, quando Vostra Maestà si troverà in capitolo, chieda al meno osservante in prestito l'ago per pulirsi le unghie; se quello non glielo potrà dare, avrà in ciò una buona occasione per non affidargli l'abbazia, come a monaco che non osserva la regola.
L'imperatore fece così; e poiché il monaco non possedeva l'ago, rivolto al suo competitore disse:
- Padre, prestami il tuo ago.
Quello lo prese e glielo diede; allora l'imperatore disse:
- Padre, tu sei un monaco esemplare e perciò degno di tanto onore; avevo deciso di eleggere il tuo competitore, ma egli se ne è mostrato indegno per l'inosservanza della regola, ciò che si vede dalla negligenza nelle piccole cose; difatti, se non osserva queste, con maggiore probabilità non osserverà le più grandi.
Tolse così l'abbazia al primo, per darla al monaco osservante (Dial., l. 6, c. 15).
Lo stesso Cesario racconta che una nobildonna voleva lasciare il mondo e farsi monaca in un monastero di cui era vicario un certo monaco di nome Plorino. Il giorno del commiato fece un banchetto invitando parenti ed amici e tra essi il vicario. Agli altri invitati fu servita la carne, ma al religioso fu servito del pesce, perché in osservanza della regola e delle disposizioni avute dall'abate, non poteva mangiare carne. Ma egli, vedendo la carne, ne ebbe voglia e con grazia prese un boccone dal piatto del vicino e lo portò alla bocca. Giusto giudizio di Dio! Il boccone si mise in tal modo in gola che non poteva né mandarlo giù, né rimetterlo. Stando quasi per soffocare e sul punto di spirare, un altro religioso presente con un colpo sulla nuca gli fece rimettere il boccone. Tutti compresero che ciò era accaduto in pena della sua disobbedienza (Ibid. l. 4, c. 30).
Nelle Cronache dell'Ordine domenicano fra Perdinando del Castillo racconta che nel tempo in cui S. Domenico viveva nel Convento di Bologna, un demonio cominciò a tormentare improvvisamente un fratello laico con tanta crudeltà, che al rumore dei colpi gli altri religiosi si svegliarono; per ordine del santo, il frate fu portato in Chiesa e con tanta fatica che dieci frati a stento poterono trasportarlo. Appena oltrepassata la soglia un soffio spense tutte le lampade, in modo che rimasero tutti al buio mentre il demonio continuava a tormentare il povero frate. Il santo gli comandò allora in nome di Gesù Cristo di dire perché era entrato in quel frate e continuava a tormentarlo. E il demonio rispose:
- Perché questo pomeriggio ha bevuto senza permesso e senza farsi prima il segno di croce, come stabiliscono le usanze dell'Ordine.
In quel frattempo suonò il mattutino e il demonio disse:
- Non posso rimaner qui, perché ormai i frati dalle cocolle si alzano per venire a lodare Dio.
E lasciò il frate mezzo morto e tanto pieno di ecchimosi, che per due giorni non potette stare in piedi (Part. I, l. 1, c. 60).
S. Gregorio racconta un esempio simile di una monaca, che mangiò una lattuga senza farci sopra il segno della croce ed il demonio entrò in lei (Dialog., l. 1, c. 4).
[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].