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sabato 2 giugno 2018

Suore di clausura Torino

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne torinesi che cercano un buon monastero di suore di clausura a Torino, o in altre città italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.



Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."



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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).


S. Gerolamo racconta che nel deserto di Nitria uno di quei monaci che viveva del lavoro delle sue mani, desiderò mettere insieme un po' di denaro. Tesseva lino e la sua brama gli mise molta fretta addosso, per cui lavorava molto e mangiava poco, in modo che riuscì a risparmiare cento soldi, che nella nostra moneta equivalgono a cento ducati; fatto questo mori. Quando andarono a sotterrarlo e lo trovarono con quel denaro, i monaci si riunirono per decidere che cosa si dovesse fare in quel caso e cosa si dovesse fare di quel denaro. S. Gerolamo dice che in quella regione vivevano nelle loro celle, separate le une dalle altre, circa cinquemila monaci: alcuni dicevano che bisognava distribuire il denaro ai poveri, altri che bisognava darlo alla Chiesa, altri consigliavano di inviarlo ai genitori del defunto, che probabilmente ne avevano bisogno. Ma il gran Macario, l'abate Pambo, Isidoro ed altri anziani, che tutti chiamavano padri, invocato lo Spirito Santo, decisero che quel denaro fosse sepolto insieme a lui, dicendo: «Va’ in perdizione tu e il tuo denaro!» (Act 8, 16). E così fu fatto. E S. Gerolamo aggiunge: non si pensi che questa sia stata crudeltà, fu atto di pietà, perché il fatto produsse tanto timore, che per tutto l'Egitto i monaci stimavano gran delitto essere trovati al momento della morte in possesso di un solo reale (Epist. ad Eustoch.).
   S. Agostino racconta l'episodio di un certo Gennaro, religioso tenuto in conto di santo, che io riferirò con le sue stesse parole piene di tanta sofferenza. Dobbiamo, egli dice, piangere e lamentare ripetute volte la rovina del nostro Gennaro, che pareva tra noi una colonna di obbedienza. e povertà e fini così miseramente. Egli era venuto tra noi promettendo tra le lacrime di osservare la povertà per tutta la sua vita e invece, a nostra insaputa, possedeva vigne e terre. O professione mortale! O promessa traditrice! Diceva con la bocca quello da cui aborriva col cuore; lo credevamo santo ed invece era il peggiore di tutti! In tal modo visse il nostro Gennaro più di dodici anni: visse e mori male! Visse male perché teneva nascosto in segreto ciò che non era suo; morì male perché neppure in fin di vita rinunziò al suo errore, ma si ostinò nel suo peccato e, a nostra insaputa, lasciò per testamento erede un figlio che aveva nel secolo. Oh fosse piaciuto a Dio che ce lo avesse detto almeno in punto di morte: avremmo potuto pregare per lui ed egli avrebbe ottenuto il perdono! Invece non si confessò, né si pentì, così non è ora dei nostri, né lo è stato mentre era vivo. Legate quindi le mani del suo cadavere e ponetevi legati in un panno i centoundici sicli d'oro che teneva conservati nella sua cella, e dite piangendo: «Va' in perdizione tu e il tuo denaro!» perché non ci è lecito adoperarlo per comperarci il vitto e il vestito o in opere del monastero, essendo il prezzo della tua condanna (Serm. 5 ad Fratres in eremo).
   Cesario racconta che nell'Ordine Cistercense si ammalò un religioso il quale, dopo essersi confessato dall'abate ricevette il Santissimo Sacramento; egli poté aprire la bocca per riceverlo, ma non la poté richiudere per ingoiarlo. Tra la meraviglia generale, il sacerdote tolse la particola dalla sua bocca e la dette ad altro religioso ammalato lì presente, che la ingoiò senza difficoltà. Non molto tempo dopo il religioso morì e si scopri la causa che gli aveva impedito di ricevere la sua salvezza: volendo lavarlo gli trovarono accanto cinque denari non di argento, ma di rame, che non gli era assolutamente lecito tenere. Vedendo ciò tutti lodarono Dio e l'abate diede ordine di seppellirlo all'aperto e di gettargli addosso il suo denaro, mentre tutti dicevano: «Va’ in perdizione tu e il tuo denaro!» Esponendo poi il caso nel Capitolo Generale, l'abate aggiunse: Perché si comprenda che il non aver potuto ingoiare la sacra particola non dipese dalla malattia, si sappia che il giorno stesso mangiò un'intera gallina (Dialog., l. 3, c. 64).
   Le Cronache dell'Ordine di S. Francesco narrano che in un certo convento dell'Ordine c'era un fratello laico che non sapeva leggere. Egli desiderava ardentemente di imparare a leggere e perciò si procurò un salterio, ma appena il guardiano lo seppe, glielo chiese perché la regola proibisce ai fratelli laici di imparare a leggere. Egli negò di averlo; il guardiano insistette, pregandolo di dirgli dove si trovava, perché non vivesse da proprietario, ma il frate non volle obbedire. Non molto tempo dopo, si ammalò gravemente; il guardiano, perché non morisse proprietario di un salterio, gli comandò per santa obbedienza di dargli il salterio o di dirgli dove lo aveva nascosto; ma lo sventurato ostinato continuò a negare e morì senza spogliarsene. La notte seguente la sua sepoltura, il sacrestano, a mezzanotte, suonando per il mattutino, si sentì sopra un'ombra grande e pesante, mentre gli si faceva udire una voce timorosa e confusa che parlava senza far distinguere le parole; cadde semimorto dallo spavento. I frati, avendo udito il primo tocco di mattutino, e vedendo che il suono non continuava, aspettarono un bel pezzo, poi andarono a cercare il sacrestano che trovarono mezzo morto. Solo quando si fu ripreso poterono saperne la causa. Cominciato il mattutino, apparve quell'ombra spaventosa con un grido orribile, come di trombetta rauca, tale che non si poteva intendere quello che diceva. Il guardiano confortò il coro turbato, poi disse all'ombra:
   ? Da parte di Nostro Signore Gesù Cristo, ti chiedo per la sua santa passione di dirmi chi sei e che cosa vuoi in questo luogo.
   L'ombra rispose:
  ?  Sono il fratello laico che avete sepolto qui!
   E il guardiano:
   ? Vuoi i suffragi delle nostre preghiere?
   Quella rispose:
   ? Non voglio le vostre preghiere perché a nulla mi gioverebbero; a causa del salterio di cui morii proprietario sono dannato per sempre.
   A cui il guardiano:
   ? Giacché non possiamo aiutarti, ti comando in nome di nostro Signore Gesù Cristo di andartene e di non tornare mai più in questo luogo a darci molestia.
   L'ombra scomparve subito e non fu mai più vista né udita (Part. II, l. I, c. 18).
   Racconta Dionigi il Certosino che un religioso, avendo l'abito strappato, entrò in guardaroba e prese un pezzetto di stoffa senza permesso. Cadde infermo, ma, poiché era un buon servo di Dio, non era affatto spaventato e se ne moriva allegro e contento, né il demonio aveva nulla da rimproverargli. Sollevò però a caso gli occhi e vide attaccato ad un chiodo il suo abito e il demonio seduto su di esso, sotto forma di scimmia che si leccava e assaporava quel rammendo. Si accorse allora della colpa che aveva commesso, facendo quel rattoppo senza permesso e fece subito chiamare il superiore per dire la sua colpa e riconciliarsi con lui. Fatto ciò, il demonio scomparve immediatamente.
   Nella Storia dell'Ordine di S. Domenico si legge che, quando era priore del Convento di Bologna fra Reginaldo, un religioso aveva ricevuto in dono un pezzetto di panno, di quello che si usa per rattoppi all'abito, ma lo aveva ricevuto senza permesso. Il santo lo chiamò in capitolo e in presenza di tutti lo castigò come ladro e proprietario con aspre parole e una bella disciplina; poi bruciò il panno dinanzi a lui e agli altri religiosi (Part. I, l. 1, c. 36).
   Nella stessa Storia si narra che S. Alberto Magno, quando fu Provinciale dell'Ordine diede ordine rigoroso che nessun frate tenesse denaro presso di sé o presso terza persona, né poco, né molto, né suo né altrui, né per sé né per altri, e ciò sotto gravissime pene. E che in un Capitolo Generale, essendo stato provato che un frate aveva trasgredito a quell'ordine, lo castigò con tanta severità, facendolo estrarre dalla sepoltura in cui era stato da poco inumato e gettare fuori del cimitero in un letamaio, imitando i santi antichi, che così solevano trattare i proprietari (Part. I, 1. 1, l. 46).
  

[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].