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martedì 20 marzo 2018

Suore di clausura Ravenna

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne romagnole che cercano un buon monastero di suore di clausura a Ravenna in cui iniziare un discernimento vocazionale consiglio di contattare qualche comunità fervorosa e osservante. La vita religiosa contemplativa è semplicemente meravigliosa! Ti consiglio di contattare un monastero al quale chiedere di poter fare un'esperienza vocazionale e vedere coi tuoi occhi in cosa consiste la vita monastica.









Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

Dei religiosi che, avendo lasciato cose più grandi, si affezionano a cose minime

   Da quanto abbiamo detto fin qui, seguono, per il nostro ammaestramento, due cose:
   Primo, che se lasciando il mondo e tutte le sue ricchezze, non perdiamo anche l'affetto a quelle cose, non siamo poveri in spirito, perché questo genere di povertà consiste non solo nel separarci esteriormente e col corpo dalle cose, ma dal distaccarcene anche con l'affetto; anzi questo è l'elemento principale della povertà in spirito. Pertanto se ancora perdura in te l'affetto, è segno che non le hai lasciate completamente, le hai portate con te nella vita religiosa, perché le porti nel cuore; non sei un povero vero, ma finto; e, per conseguenza non sei un perfetto e vero religioso, ma finto; sei col corpo in religione e con lo spirito e il cuore nel mondo; porti falsamente il nome di religioso.
   Secondo, ne segue che se il religioso che lasciò e disprezzò le ricchezze del mondo e si attacca poi nella nostra vita a cosucce da nulla, come la cella, l'abito, il libro, l'immagine o qualche altra cosa del genere, non è vero e perfetto povero in spirito. Il motivo è lo stesso: l'essenza della povertà in spirito è nel lasciare l'affetto alle cose, nel distaccare da esse il cuore; se costui non ha lasciato quell'affetto, ma ha trasferito quello che nel mondo aveva a cose grandi, come lo era nel mondo alle ricchezze.
   Cassiano tratta diffusamente questo punto. Non so, egli dice, come esprimere un fatto ridicolo, che accade in alcuni religiosi, i quali dopo aver lasciato il patrimonio e tutto quello che possedevano nel mondo, cercano con cura delle piccinerie, si procurano delle comodità superflue e fuori posto, tanto che molte volte pongono più sollecitudine nel procurar si queste povere cose, di quanta ne impiegassero nel mondo intorno ai loro affari. Giova poco ad essi averli lasciati, se non ne hanno smesso l'affetto, ma lo hanno trasferito a queste piccole cose; è lo stesso affetto che, non potendo esercitarsi in cose preziose, si esercita su cose vili. Mostrano cosi apertamente che non si sono spogliati della cupidigia, ma l'hanno soltanto mutata e trasferita su tante inezie. Sono preda della stessa cupidigia che avevano nel mondo, come se il male stesse nell'oro o nella differenza dei metalli, non nella passione e nell'affetto del cuore. Come se avessimo lasciato le cose grandi, per porre il nostro affetto nelle piccole! Non è per questo che abbiamo lasciato le cose maggiori, ma perché ci riuscisse più facile lasciare il meno. Altrimenti, se la cupidigia tiene avvinto il mio cuore, che importanza ha che sia per cose di valore o per cose vili? Giacché siamo tanto attaccati a queste, quanto potremmo esserlo a quelle; è sempre la stessa cosa, come è lo stesso non poter vedere il sole per una lamina d'oro o di ferro: è un impedimento la prima come la seconda (Coll. 4 Abbatis Daniel, c. 21).
   Lo stesso dice l'abate Marco in un colloquio con la sua anima: Tu mi dirai, diletta anima mia, noi non ammucchiamo oro né argento, né abbiamo eredità o possessi; ed io ti dirò: non sono l'oro, l'argento o le ricchezze a perderci, ma il loro cattivo uso e l'affetto disordinato. Pertanto vediamo che certi ricchi, non vi attaccarono il loro cuore, piacquero a Dio e furono santi, come un Abramo, un Giobbe, un Davide. Noi invece, non avendo più ricchezze perché le abbiamo lasciate, alimentiamo e conserviamo il vizio dell'avarizia con cose bassissime e da nulla. Non accumuliamo oro ed argento, ma accumuliamo cose vilissime e vi leghiamo il cuore con tanto affetto come se fossero oro ed argento; perdiamo per esse la pace, come la perderemmo per quelle, se non più. Non riceviamo vescovadi, né ambiamo dignità, ma desideriamo la gloriuzza e la stima degli uomini e cerchiamo di averle per tutte le vie possibili: ci piace di essere lodati in casa come fuori.
   Siamo più miseri e più degni di riprensione degli uomini che vivono secondo il mondo, dicono i santi, per esserci avviliti più di loro; almeno essi si affezionano a cose di un certo valore, mentre noi, dopo aver lasciate quelle, ci avviliamo con cose minuscole. Siamo tornati bambini. Dovevamo diventare uomini, «uomini perfetti», dovevamo crescere ogni giorno, come dice S. Paolo (Cfr. Ef 4, 13), e invece abbiamo fatto proprio il rovescio, da uomini che eravamo, quando siamo entrati in religione, lasciando il mondo e rompendo virilmente con tutto, siamo ridiventati bambini legando il nostro cuore a fanciullaggini. Come il bimbo piange subito, se gli si toglie una mela o un giocattolo, così questi tali, se si tolgono loro le cosucce cui si erano affezionati, o non si danno loro quelle che chiedono, subito si turbano. Secondo Cassiano, mentre da una parte fa ridere, dall'altra è motivo di compassione vedere un uomo grave, che ha avuto il coraggio di disprezzare il mondo e quanto gli appartiene, umiliarsi a cosette basse e di nessun valore, turbarsi ed inquietarsi come un bambino a cui è stata negata una mela o tolto un giocattolo.
   S. Bernardo, scrivendo ad alcuni religiosi, dice: Noi religiosi siamo più miserabili degli altri uomini, se nella vita religiosa andiamo dietro a bagatelle e perdiamo per esse tutto quello che abbiamo fatto fin qui. Quale cecità, o meglio, quale pazzia è mai quella di abbassarsi a cose così vili, con tanto nostro rischio e pericolo, dopo aver lasciato cose tanto grandi! (Ad Monach. S. Bertini, n. 4). Volete vedere che perdita è?, si chiede: Abbiamo disprezzato il mondo e tutte le sue cose, abbiamo lasciato genitori, parenti, amici; ci siamo chiusi nelle quattro mura di un monastero, obbligati come ad una vita di perpetuo carcere, sempre custoditi dalla chiave e dal portinaio; abbiamo abbandonato la nostra volontà e ci siamo obbligati a seguire sempre quella altrui; che non dovremmo fare per non perdere tante e così grandi cose?

[ Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].