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venerdì 23 febbraio 2018

Suore di clausura Trento

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne del Trentino-Alto Adige che cercano un buon monastero di clausura a Trento, o in altre province italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.



Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."


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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).


Se, senza permesso del superiore, il religioso può ricevere denaro da spendere in opere pie, e quando in ciò pecca contro il voto di povertà

   La Compagnia vuole che in questo campo della povertà raggiungiamo tale purezza di perfezione e che siamo bel lontani dal tenere denaro presso di noi e dal farlo passare per le nostre mani, che una regola esplicita (Reg. 22 Sacerdotum) non ci permette di ricevere denaro dai penitenti o da altre persone, né per farne delle elemosine, né per adempiere obbligo di restituzione. Di modo che, se un penitente dovesse compiere un tale dovere e volesse incaricarne il confessore, questo non può assumersi tale incarico senza permesso del superiore. Questa regola è fondata in una esperimentata prudenza e nella dottrina ed esempio dei santi. S. Basilio lo consiglia espressamente (Epist. ad Chilonens., n. 3) e S. Francesco Saverio lo raccomandava molto, come leggiamo nella sua Vita (Lib. 6, c. 12 e 17). S. Gerolamo racconta nella vita di S. Ilarione abate che, avendo liberato un uomo ricchissimo da una legione di demoni che si era impossessata di lui, questi voleva offrirgli molti doni in segno di gratitudine. Essendosi il santo rifiutato di accettarli, egli lo importunava, pregandolo di prenderli per distribuirli ai poveri. Ma il santo rispose:
   ? Potrai distribuirli meglio tu, che giri per la città e ne incontri. lo ho abbandonato le mie ricchezze, perché dovrei occuparmi di quelle altrui?
   Il nostro compito è di consigliare il prossimo e compiere presso di lui altri uffici spirituali, ma non di fare il suo elemosiniere; ciò non solo non giova al compimento del nostro ministero, ma lo impedisce, perché non servirebbe ad altro che a riempire la casa di gente che cerca aiuto. Non basterebbero due portinai a riceverli e il Padre sarebbe distratto dalle confessioni e dal ministero spirituale per badare a ciò. Anche gli apostoli si accorsero che non potevano occuparsene senza discapito del ministero spirituale, che è tanto più importante. «Non è bene, ? essi dicono, ? che noi abbandoniamo la parola di Dio per servire alle mense» (Act 6, 2), ed elessero dei diaconi che se ne occupassero per poter si dedicare del tutto alla conversione delle anime.
   Taluni stimano che la distribuzione delle elemosine sia ottimo mezzo per attirare il prossimo alla frequenza dei sacramenti; ma si ingannano, perché è molto più quello che si perde che quello che si guadagna: sono molto più quelli che rimangono scontenti e si lamentano che gli altri. Gli uni, perché non hanno avuto, gli altri perché non hanno avuto di più: si lamentano quasi tutti e vanno mormorando che siamo mossi da riguardi particolari o da accettazione di persone e forse anche pensano che teniamo qualcosa per noi, se non tutto. Né è mezzo adatto per attirarli alla confessione, perché alcuni ne fanno occasione di confessioni finte, nelle quali dicono al confessore mille bugie per spingerlo a far loro l'elemosina. Oh, con quanta ragione il Savio ci consiglia di credere all'esperienza dei vecchi e di seguire il loro consiglio! (Cfr. Eccli 8, 9). Qualche volta, col permesso del superiore, si potrà anche incaricarsi di qualche restituzione, trattandosi di cosa molto segreta e che il penitente non può fare senza essere notato. Ma anche in questo caso ci si avverte, ed è ottimo consiglio, che il confessore esiga la ricevuta della restituzione, con la dichiarazione di quel che ha ricevuto e che gli era dovuto; e che tale documento sia poi consegnato al penitente per soddisfazione sua e dello stesso confessore. Anche se il penitente dicesse che non è necessario, perché ha piena fiducia nel suo confessore, non si deve omettere tale dichiarazione, perché l'altro senza dubbio ne rimarrà soddisfatto ed edificato e si sentirà più tranquillo, senza dubbi né sospetti, come suole avvenire quando le cose non sono perfettamente chiarite.
   Ma, poiché stiamo illustrando gli obblighi che, a rigore, si contraggono col voto di povertà, sarà bene dire quando si pecca contro il voto e quando solo contro l'obbedienza e le regole. I teologi esaminano dettagliatamente il caso del religioso che accetta, senza permesso del superiore, da persona di fuori, del denaro, non per sé, ma per distribuirlo a nome del donatore in opere di beneficenza o secondo le sue intenzioni; pare che questo non leda il voto di povertà, perché non si riceve per sé, né si distribuisce in proprio nome, ma in nome di chi ha dato. Però questo caso può presentare due aspetti: il denaro può essermi consegnato perché io, a nome del donatore lo dia a Tizio o lo distribuisca in opere buone e in questo aspetto rientra il denaro consegnato al confessore perché sia restituito o dato ad alcuni poveri: chi ricevesse questo denaro, senza permesso del superiore, nella Compagnia, trasgredirebbe le nostre regole che ce lo proibiscono, come abbiamo detto. Ma non pare che peccherebbe contro il voto di povertà, perché è l'altro ad essere signore del suo denaro e a disporne ed io sono soltanto l'amministratore e lo strumento di cui egli si serve per darlo in suo nome a chi egli mi dice.
    Ma se l'altro me lo dà, perché io lo spenda liberamente e lo dia a persona di mia scelta o in opere di mia elezione, pur spendendo il denaro in opere buone ed a nome dell'altro, io nel riceverlo e nel distribuirlo senza permesso del superiore non manco soltanto contro le nostre regole, ma contro il voto di povertà (P. AZOR., Inst. moral., c. 9, § 1 e 2). Primo, perché l'altro si priva del dominio e lo trasferisce a me, per quanto è in suo potere, perché io ne disponga come mi pare, mentre il religioso non è più capace di ciò. Secondo, perché non solamente è contro il voto di povertà divenire proprietario della cosa, ma anche esserne libero amministratore, senza permesso e indipendentemente dal superiore, essendo questa una maniera di proprietà e di peculio proibita al religioso dal voto di povertà. Anzi, si dice che offende più il voto di povertà avere l'uso libero della ricchezza, che l'averne il dominio e la proprietà, perché il religioso è più distratto dall'uso e dall'amministrazione dei suoi beni che non dalla proprietà, quando non ne eserciti l'uso. Ora, lo scopo per cui la Chiesa e i santi fondatori vollero che i religiosi non avessero la proprietà dei loro beni è appunto quello di liberarli dall'uso e dall'amministrazione di essi per potersi dedicare completamente a Dio, giacché queste cure distraggono il religioso più della stessa proprietà. Pertanto, non basta che il religioso non ritenga il dominio e la proprietà del denaro dell'altro per non peccare contro il voto, se se ne assume il libero uso e l'amministrazione senza il permesso del superiore. Dice molto egregiamente Dionigi il Certosino: Non farebbe ridere il padre che togliesse al figlio la proprietà del coltello e della spada, ma glieli lasciasse usare come vuole? (De reformatione claustralium, a. 26). Allo stesso modo fanno ridere quei religiosi che si accontentano di non averne il dominio, ma si assumono l'uso del denaro altrui; perché si assumono quanto di più distraente e nocivo c'è in un'azienda. Ad alcuni sembra che anche il primo caso leda il voto di povertà, perché si distribuiscono o si tengono denari o cose equivalenti, senza permesso del superiore, sebbene dicano che il peccato è in materia leggera e non si giunge al peccato mortale, se si dà alla persona segnalata dall'altro.
   Possiamo ora dedurre quale sarà la risposta all'altro caso, anche esso molto pratico: se pecca contro il voto di povertà il religioso che senza permesso del superiore chiede ad altri denaro o elemosine per un suo parente, amico o penitente e, ricevendola, gliela dà o chieda all'altro di dargliela o di inviargliela. Affermo che se il religioso chiede la tal cosa e la accetta, facendosene padrone o per usarla, pecca contro il voto di povertà, ancorché la dia o la mandi al parente o all'amico o direttamente o per mezzo ed in nome di quello che gliel'ha data. Ma se non l'accetta per sé, ma dice chiaramente: lo non ne ho bisogno e non posso riceverla per me; se volete darla a Tizio, o darla a me perché gliela mandi, la riceverò in carità per lui; allora ciò non lede il voto di povertà, benché l'altro faccia l'elemosina per un riguardo a lui, ed egli lo ringrazi per averla fatta. Egli, in questo caso, non riceve per sé, non se ne fa proprietario, ma è esecutore della volontà dell'altro o intercessore perché esso abbia tale volontà e faccia quella donazione (THOM. SANCHEZ, t. I De matrim., l. 6, disput. 4, n. 7).
   E tanto meno sarà contro il voto di povertà chiedere ad un altro che in suo stesso nome dia o invii ciò alla tale persona, anche se questa comprende che il dono le è stato fatto per intercessione del religioso. Tuttavia, sebbene ciò non sia contro il voto, è evidentemente contro la perfezione del voto ed espressamente contro le nostre regole, e l'agire in tal modo senza permesso o contro la volontà del superiore porta con sé molti inconvenienti, oltre il pericolo non indifferente che si corre di agire anche contro il voto, se non si sta sempre attenti ai vari punti: se quell'altro dà quel denaro a me come a me, o come io lo ricevo, o se lo do in nome mio o in nome suo; se lo do all'altro o se me ne faccio io padrone e lo do io, specialmente per il fatto che la brama di avere e maneggiar denaro, distribuire e disporre molte volte acceca, come abbiamo detto nel capitolo precedente e, sotto aspetti speciosi, fa compiere atti che sono contrari al voto di povertà; dobbiamo perciò temere e rifuggire da queste cose e da altre simili. Non si dica di noi ciò che, secondo Cassiano (CASS., l. 7, c. 19; PL 49, 312), S. Basilio disse di un senatore che lasciò il mondo e il suo ufficio, ma si riservò alcune piccole cose del suo patrimonio per non dover lavorare con le sue mani per mantenersi, come facevano gli altri monaci. S. Basilio gli disse: Hai perduto l'ufficio di senatore e non sei diventato monaco. Non sei né senatore, né monaco.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].