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martedì 27 agosto 2024

Testimonianza di una suora di clausura

Qualche anno fa, su una rivista veneta è apparsa una lettera aperta di una giovane suora del monastero delle Clarisse dell'Immacolata di Creazzo in provincia di Vicenza. Con la lettera ha voluto rispondere alla domanda che molti suoi conoscenti si sono posti: perché ha abbandonato il secolo per andare a rinchiudersi in un monastero di clausura? Nel mondo era una studentessa universitaria con ottimi voti e trascorreva il tempo libero in maniera spensierata, divertendosi fino allo sfinimento. Non ci pensava neanche lontanamente ad entrare in un ordine religioso. Pur avendo tutto ciò che una ragazza della sua età potesse desiderare, sentiva un gran vuoto dentro di sé. Quello stile di vita non può certo riempire il cuore umano che, come insegna S. Agostino, è stato creato per amare Dio, ed è inquieto sin quando non riposa in Lui. La sensazione di vuoto interiore di quella ragazza era talmente deprimente che la portava anche a piangere. Un giorno, parlando con una persona spirituale comprese che la vita senza Gesù non ha alcun senso.

Fu quella la prima volta che sentì la “chiamata” del Signore. Dopo qualche tempo decise di trascorrere alcuni giorni di riflessione nel monastero di Creazzo. Rimase affascinata dall'amore, dalla dolcezza e dalla comprensione con cui venne accolta dalle Clarisse dell'Immacolata (giovane ordine religioso di stretta osservanza). Nel silenzio del monastero riuscì finalmente a trovare quella pace che tanto desiderava. Circa un anno dopo abbandonava definitivamente il mondo per entrare nella clausura e stringersi maggiormente a Dio, secondo la Regola di Santa Chiara.

Sono contento che sia entrata in un ordine religioso osservante, nel quale sarà facile per lei salvarsi l'anima. Se fosse entrata in un ordine rilassato si sarebbe messa nel grave pericolo di vivere in maniera poco edificante o addirittura di perdere la vocazione, come è avvenuto ad una ragazza che conosco personalmente, la quale non solo è uscita dal monastero, ma si è allontanata anche dalla pratica religiosa.
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

Di un altro mezzo che ci sarà di grande aiuto a raggiungere la povertà in spirito e conservarci in essa

   Ci sarà anche di grande aiuto a conservare la povertà in spirito e realizzarne la perfezione, non soltanto disfarci delle cose superflue, ma cercare che anche nelle cose necessarie di cui dobbiamo usar per forza, risplenda la virtù della povertà in modo che in essa sembriamo poveri, quali siamo. Ce lo raccomanda il nostro santo Padre nelle Costituzioni: La maniera del vitto, vestito e letto sarà come cosa propria; da poveri; e ciascuno si persuada che delle cose di uso gli gioveranno le peggiori per sua maggiore mortificazione e profitto spirituale (Exam., c. 4, § 26. Sommario di Regole, n. 25). Altrove dice: Amino, tutti la povertà come madre e, secondo la misura della santa discrezione, al tempo opportuno, provino alcuni effetti di essa; e non usino cosa alcuna come propria (Const. p. 3, c. 1, § 25, Reg.24, l. c.). Vuole il nostro santo Padre che abbiamo ciò che è povero e quanto di peggio esiste, che la nostra povertà non sia tutta in desideri e velleità, ma che certe volte ne sentiamo realmente gli effetti (Const p. 3, c. 2 § 3 e,let. G.). Di modo che, pur non mancando del necessario alla vita, ci sia sempre qualcosa che provi la nostra virtù. E non si accontentò di dire ciò in generale una o due volte, ma poi, nella sesta parte delle Costituzioni (Const., p, 6, c. 2, § 15 e in declarationibus), descrisse di proposito quale deve essere il nostro abito, perché, rimanendo un abito religioso e adatto al nostro ministero, sia conforme alla povertà che professiamo. E dice che deve rispondere a tre qualità: che sia onesto, perché siamo religiosi; che sia rispondente all'uso del paese in cui viviamo, perché il nostro tenore di vita è comune, quanto all'esteriore; e che non sia contrario alla povertà. Spiega ancora più dettagliatamente che sarebbe contrario alla povertà un abito confezionato con panno molto costoso. Pertanto se genitori, parenti, amici o benefattori, volessero regalarci del panno fine, non dovremmo usarlo, perché non sarebbe vestire da povero, né in conformità alle nostreCostituzioni. Alcuni adducono la ragione che usando del buon panno si risparmia, perché dura il doppio o il triplo e così si osserva meglio la povertà. Ma queste san ragioni secondo il mondo e la carne: vale più che nel nostro abito risplenda la povertà e che si veda che siamo veramente poveri, perché vestiamo da poveri, che non il risparmio. Inoltre, la povertà deve risplendere non soltanto nella qualità della stoffa, ma nella manifattura: se si usasse un vestito di taglio perfetto, ampio e lungo, quello non sarebbe un abito da religioso povero.
   Di due cose soltanto vuole il santo Padre che si tenga conto nell'abito: che sia onesto e decente e che difenda dal freddo, perché questi sono i due scopi per cui è stato istituito. Tale è la dottrina di S. Basilio che riferisce il pensiero di S. Paolo: «Quando abbiamo dunque il nutrimento e di che vestirei, di questo contentiamoci» (1 Tim 6, 8). Il santo dice: Notate che si parla di nutrimento, non di piacevoli leccornie; si parla «di che vestirci», non della varietà di un abbigliamento ricercato. Deve bastarci il solo necessario; tutto il di più che parla di vanità e ostentazione deve essere esiliato dalla vita religiosa, e non è da permettersi in nessun modo, essendo segno di vanità e di profanità: sia messo fuori, perché non penetri il mondo tra noi! (Reg. fusius disput. interrogat. 22, n. 2).
   Oh, come per la sua religione temeva S. Francesco tutto ciò! Si racconta nelle sue Cronache che frate Elia, uno dei suoi frati più importanti, che fu poi Maestro Generale, si fece un abito lungo ed ampio, con larghissime maniche, di panno di valore. S. Francesco lo chiamò in presenza degli altri frati e gli disse di prestargli quell'abito che indossava; il santo se lo mise sul suo, ne aggiustò bene le pieghe e il cappuccio e ripiegando le maniche con gesto vanitoso, cominciò a camminare a testa alta, col petto gonfio e con passo solenne, mentre con voce sonora e grave salutava i frati che erano presenti: Gente onorata! Dio vi saluti! I frati lo guardavano stupiti. Fatto ciò, con zelo e fervore, si tolse l'abito con gesto duro, lo gettò lontano da sé e disse a frate Elia, in modo da essere sentito da tutti i presenti: così vestono i bastardi dell'Ordine! Rimasto col suo umile saio, stretto e corto, e riprendendo il suo volto lieto e mansueto, cominciò a parlare coi suoi frati, insegnando mansuetudine, povertà ed umiltà (Part. I; c. 19).
   Non vogliamo essere anche noi figli bastardi della nostra Religione, ma legittimi, nei quali traspaia la nostra madre, la santa povertà. Il nostro vestito deve essere quello proprio dei poveri, la povertà deve splendere in esso e mostrare che siamo poveri. E perciò deve essere un po' inferiore a quello che potremmo portare decentemente e di quello che secondo il parere del mondo ci è adatto. Perché non è povero nel vestito chi porta alla perfezione tutto quello che è necessario, né mostra da nessun segno che è povero, ma colui a cui manca qualcosa del necessario. Come abbiamo detto più su, la povertà perfetta sta nel godere che ci manchi qualcosa nel necessario: chi non volesse soffrire per nessuna indigenza non sarebbe giunto alla perfezione della povertà in spirito.
   Ciò che abbiamo detto del vestito vale per tutte le altre cose. Dobbiamo far sì che risplenda in tutte la virtù della santa povertà, e che sia evidente che siamo poveri; in camera non dobbiamo avere che il necessario, e della peggiore qualità, il tavolo più povero, il letto peggiore; quanto c'è di meno buono in casa sia per te; riporta in biblioteca i libri che non ti sono necessari e non volerne tener molti in camera per darti importanza. S. Bonaventura scende anche a particolari più minuti, raccomandando al religioso che non voglia tenere se non le cose necessarie, e anche quelle siano delle meno ricercate, non lucidate, ma grezze, vecchie e rappezzate (De informat. Novitior., p. 2, c. 9). Non volere che i libri siano ben rilegati, né che il breviario o il diurno siano rari o eleganti. Non cercare immagini rare, né rosari di valore, e se tieni qualche Agnus Dei, qualche croce o qualche reliquiario di tua devozione, sia anch'esso conforme alla povertà che professiamo; quanto più povero sarai in tutto ciò, tanto più piacerai al Signore e ai santi.
   Diceva S. Francesco che l'avere oggetti curiosi e non necessari è segno di spirito morto, perché la tiepidezza nella grazia con che si dovrebbe coprire se non con queste cosucce? Non trovando conforto nelle cose spirituali, lo si cerca nei trattenimenti esteriori. È questa una verità confermata tante volte dall'esperienza e perciò i nostri superiori insistono tanto sulle piccole cose, prima di tutto perché hanno per oggetto la povertà e poi perché non ha spirito chi si diletta di simili cose. E non soltanto in questo, ma anche nelle cose necessarie, come già s'è detto, dobbiamo essere poveri e mostrare che lo siamo, rallegrandoci di soffrire qualche privazione per amore di Cristo nostro Signore, il quale si fece povero per noi, pur essendo ricco. (II Cor 8, 9), e volle soffrire tanta privazione nelle cose necessarie sopportando fame, sete, freddo, stanchezza e nudità. Di tali beni, dice S. Bernardo, aveva dovizia eterna in cielo, la povertà non si trovava lassù, abbondava invece e sovrabbondava in terra e l'uomo ne ignorava il pregio: bramoso di essa il Figlio di Dio scese in terra, la prescelse per sé, affinché noi pure, per la stima che egli ne fece, la riputassimo preziosa (Serm. I in vigilia nativ., n. 5). Come saggio mercante si caricò di essa come di una preziosa mercanzia, perché anche noi ne facessimo ricerca, comprendendo quanto vale per il regno dei cieli.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].