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giovedì 12 luglio 2018

Suore di clausura di Ancona

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne che cercano un buon monastero di suore di clausura ad Ancona, o in altre città italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.



Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."



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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

Obbedire al superiore come a Cristo è mezzo necessario per raggiungere la perfezione della virtù dell'obbedienza

   Il non considerare la persona del superiore come uomo, ma il guardare a chi nell'uomo obbediamo, Cristo nostro Signore, non solo rende l'obbedienza migliore e più perfetta, ma è assolutamente e precisamente necessario per ottenere la virtù dell'obbedienza. Di modo che, chi non ha presente che Dio gli comanda quella cosa e la vuole, e per questo obbedisce, non solo non sarà perfetto nell'obbedienza, ma non obbedirà bene, essendoci sempre una deficienza nella sua virtù. Mostreremo praticamente e faremo toccare con mano, come si dice comunemente, che questo è il punto essenziale.
   Se consideri il superiore come uomo, uomo per uomo, anche tu sei un uomo. Anche se il superiore è santo e prudente e anche dottissimo, alla fine devi concludere che è un uomo, che non può sapere tutte le cose e tutti i motivi in esse racchiuse, che può sbagliare ed ingannarsi. Anzi, se lo consideri come uomo, devi dire che può avere degli affetti naturali, dei motivi umani che lo fanno agire in un senso o in un altro; e che perciò guarda alle cose tue con occhio diverso da quello con cui guarda le cose altrui. Specialmente quando ciò che ordina è difficile e ripugna alla tua sensibilità o al tuo amor proprio, che è grande inventore di sottili ragioni in tuo favore, di mille repliche e soluzioni diverse. Non finiresti mai di mettere a tacere il tuo intelletto e la tua volontà, perché a ragioni umane non mancheranno mai altre ragioni umane da contrapporre.
   Ma se non consideri il superiore come uomo soggetto ad errori e a miserie, ma nell'uomo a cui obbedisci vedi Cristo nostro Signore, somma sapienza, bontà immensa, carità infinita che non può ingannarsi né ingannare, né lo vuole, allora cessano tutte le difficoltà, i ragionamenti e i giudizi, e ti sottometti in tutto. Perché il motivo: Dio lo vuole, Dio lo comanda, tale è la volontà di Dio, non ammette replica. Lo diceva il Profeta Davide: Non mi lamento, Signore, nelle tribolazioni, ma «Io sto muto, e più non apro bocca, perché tu sei che facesti» (Ps. 39, 10). Oh, se vivessimo in questo modo! Con quale spirito avanzeremmo! Quanto grande sarebbe la perfezione della nostra obbedienza! Lasceremmo subito la lettera incominciata, appena udita la voce del superiore, ricordandoci che è la voce di Cristo, e ci sembrerebbe una villania rispondere: verrò! Come sottometteremmo il nostro giudizio! Tutte le difficoltà sarebbero appianate.
   Nasce di qui la soluzione di un dubbio che calza a proposito a questo punto: Come mai uno che sta da tanto tempo nella vita religiosa, dove obbedisce tutti i giorni, non possiede l'abito dell'obbedienza, non ha raggiunto la virtù, quando è dottrina comune dei filosofi e teologi che gli abiti delle virtù si ottengono con gli atti di esse e il loro esercizio? La soluzione di questo caso sta nel fatto che gli abiti si formano con gli atti compiuti secondo la ragione formale di quella virtù: ora l'obbedienza di cui stiamo trattando è virtù religiosa e una specie della virtù di religione la quale, come dicono i teologi, ha per oggetto Dio e il culto della sua divina maestà. Se invece chi obbedisce non vede Dio nel superiore né obbedisce per fare la volontà di Dio, ma per piacere al superiore, per essere stimato, per paura della penitenza o della reprensione, perché gli piace il comando ricevuto o per altri simili motivi, i suoi non sono atti della virtù di religione, dell'obbedienza religiosa, perché manca ad essi la ragione formale e religiosa dell'obbedienza, né la otterrà per tutta la vita, se continuerà a fare così. Potrà la sua essere un'obbedienza politica, come quella dei soldati o dei marinai, o quella che si presta in qualsiasi compagnia e comunità, ma non sarà una vera virtù religiosa.
   Per questo il nostro santo Padre diceva che non dobbiamo obbedire al superiore perché è uomo prudente o santo, né perché è veramente buono o perché ha altre doti, ma perché fa le veci di Dio e ne tiene l'autorità (Vita di S. Ignazio, 1. 5, c. 4). Se perdi di vista ciò e fissi lo sguardo su motivi umani, perdi il motivo dell'obbedienza. La tua non sarà più virtù religiosa né atto di religione, perché quello è il modo con cui anche nel mondo si segue il parere di un uomo dotto ed esperto: è vivere con gli uomini, non con Dio. Quanto più avrete presenti gli argomenti umani e vi lascerete guidare da essi, tanto più vi allontanerete dal clima divino e dalla vera virtù dell'obbedienza e vi ridurrete ad obbedire ad un uomo soltanto. Proseguendo nel suo esame dell'obbedienza il nostro santo Padre aggiunge che per nessun motivo dobbiamo guardare se ci comanda il cuoco o il superiore della casa, se è il tale o il tal altro, perché il motivo della nostra obbedienza non sono essi, ma Dio. Con la stessa prontezza e docilità vuole che obbediamo agli ufficiali subordinati e al superiore (Exam., c. 4, § 29).
   Alla perfezione dell'obbedienza era giunto S. Francesco, il quale diceva: Fra le altre grazie che la divina pietà ha voluto benignamente concedermi c'è questa, che obbedisco altrettanto prontamente ad un novizio che ha preso l'abito da un'ora se mi fosse dato come guardiano che ad un frate anziano e prudente (Cronaca dei Frati Minori, p. I, l. 1, c. 28). Aveva perfettamente compreso come si deve obbedire e pertanto non guardava alla persona del superiore, ma a Dio solo, al quale obbediva. Diceva ancora il santo: Quanto minori sono le doti e l'autorità della persona a cui obbediamo, tanto più quell'obbedienza è nel suo modo perfetta e piace a Dio. È quello che diciamo comunemente quando affermiamo che chi obbedisce al cuoco, al refettoriere, al sacrestano e agli altri ufficiali subordinati, dà maggior segno della sua obbedienza di quando obbedisce al Padre ministro; e chi obbedisce a questo, maggiore. di quando obbedisce al Provinciale o al Generale; e il motivo è che quell'obbedienza è fatta più puramente per Dio: nell'obbedienza al superiore supremo potremmo essere mossi dal rispetto dovuto alla persona o dalla sua autorità, o anche dal desiderio di piacergli; ma quando si obbedisce ad un ufficiale subordinato, è evidente che solo Dio ci muove a quell'obbedienza.
   Il nostro santo Padre aggiunge a questo proposito un'altra cosa: chi non è perfettamente obbediente agli ufficiali subordinati, non lo sarà neppure verso gli altri superiori, perché la vera obbedienza, come abbiamo ripetuto, non considera la persona a cui obbedisce, ma Dio per il quale e al quale in tutti si obbedisce. A questo tale manca la ragione formale dell'obbedienza, perché se obbedisse a Dio, obbedirebbe anche agli ufficiali subordinati, che fanno, nel loro settore, le veci di Dio; poiché non obbedisce ad essi, è segno certo che quando obbedisce agli altri superiori non obbedisce per amore di Dio, ma per rispetto umano, e pertanto la sua obbedienza non è perfetta né religiosa.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].