Carissima in Cristo,
mi è piaciuto molto leggere la descrizione fatta con semplicità e schiettezza del modo colloquiale con cui dialoghi con Dio. Ciò che fai non è una cosa da matti, anzi! Sant'Alfonso Maria de Liguori scrisse un opuscolo intitolato “Modo di conversare continuamente ed alla familiare con Dio”, nel quale spiega che trattare con Dio con gran confidenza e familiarità non è affatto un mancare di rispetto alla sua maestà infinita. Secondo questo grande Dottore della Chiesa bisogna rivolgersi al Signore con l'amore più tenero e confidente che sia possibile, poiché Egli gioisce quando una sua creatura si rivolge a Lui con quella confidenza, libertà e tenerezza con cui i bimbi si rivolgono alle loro mamme.
Dunque continua pure a dialogare “da cuore a cuore” con Gesù e Maria, e intanto frammezza i tuoi dialoghi con brevi e intese frasi d'amore che saranno come frecce infuocate che vi lancerete reciprocamente. In questo modo ti infiammerai d'amore per il Redentore, mentre Lui già arde d'amore per te fin dall'eternità. Il mondo non esisteva, tu non esistevi, ma Egli già ti amava ardentemente come se tu fossi l'unica persona che avrebbe creato. Quindi ognuno di noi può e deve dire di Gesù (soprattutto quando si riceve devotamente l'Eucaristia), quel che diceva la sposa del Cantico dei Cantici: Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. II, 16), il mio amato Dio s'è dato tutto a me ed io tutto a Lui mi dono.
Spero che anche altri lettori del blog possano imitare il tuo modo di pregare, prendendo l'abitudine di parlare a Dio da cuore a cuore, familiarmente e con confidenza ed amore come ad un amico, il più amorevole di tutti.
Alcuni domanderanno: ma di quali temi possiamo trattare con Dio? Raccontategli dei vostri affari, dei vostri progetti, delle vostre pene, dei vostri timori e di tutto quello che vi riguarda. Come ho già detto, fatelo con confidenza e col cuore “aperto”, cioè senza soggezione. Potete parlare con Dio ovunque vi troviate, poiché Egli è onnipresente. Dunque, non dimenticatevi mai della sua dolce presenza, come purtroppo fa la maggior parte degli uomini. Parlategli quanto più spesso potete; se voi lo amate, non vi mancheranno cose da dirgli. Il nostro Dio si compiace di abbassarsi a trattare con noi, e gode che noi gli comunichiamo le nostre occupazioni più semplici. Egli ci ama tanto ed ha tanta cura di ciascuno di noi. Dobbiamo avere la confidenza di raccomandargli non solamente le nostre necessità, ma anche quelle degli altri. Piacerà tanto al nostro Dio, che noi, dimenticando alle volte i nostri interessi, gli parliamo dei vantaggi della sua gloria, delle sofferenze altrui, specialmente degli ammalati e dei poveri, delle anime del purgatorio che sospirano la sua visione beatifica, e degli scellerati peccatori che vivono privi della sua grazia.
Se vogliamo compiacere il Cuore amante del nostro Dio, dobbiamo cercare quanto più spesso possiamo di parlare con Lui continuamente e con tutta la confidenza possibile, e Lui non sdegnerà di risponderci. Non si farà sentire con voci sensibili alle orecchie, ma con voci bene intelligibili al nostro cuore, allorché ci staccheremo dalla conversazione delle creature per trattenerci a parlare da solo a solo col nostro Dio. Egli ci parlerà con quelle ispirazioni, con quei lumi interni, con quei tocchi soavi al cuore, con quei segni di perdono, con quei saggi di pace, con quella speranza del paradiso, con quei giubili interni, con quelle dolcezze della sua grazia, con quegli abbracci e strette amorose; insomma ci parlerà con quelle voci d'amore che ben l'intendono le anime che egli ama e che non cercano altro che Dio. Su questa terra la Santissima Trinità sia l'unica nostra felicità, l'unico oggetto dei nostri affetti, l'unico fine di tutte le nostre azioni e desideri, fintanto che giungeremo nella Patria Celeste, dove finalmente potremo contemplare da faccia a faccia Colui che abbiamo tanto desiderato d'amare durante il pellegrinaggio terreno.
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).
Nel secondo Libro dei Re, la Sacra Scrittura racconta che Naaman, uomo ricco e potente, favorito del re di Siria che lo aveva fatto generale di tutto il suo esercito, era malato di lebbra. Egli, avendo sentito dire che in Samaria c'era un Profeta, Eliseo, che guariva ogni genere di malattie e risuscitava persino i morti, volle andare da lui e si fornì di lettera di presentazione del re di Siria per il re d'Israele, perché lo facesse ricevere immediatamente dal Profeta e guarire. Naaman partì per la Samaria con gran seguito di cavalli e di cocchi. Giunto da Eliseo, entrarono da lui i servi per l'ambasciata, e il Profeta, senza uscir fuori, mandò a dire a Naaman: Vada al Giordano e si lavi sette volte in quell'acqua. Naaman si sdegnò. Credevo che il Profeta mi venisse incontro e con grandi cerimonie operasse la mia guarigione, che mi toccasse con le sue mani le parti malate, che t’invocasse sopra di me il nome del suo Dio; invece tutto sta nell'andare ad immergermi nel Giordano! Non ci sono forse in Siria fiumi migliori di questo? Andiamo! Per questo non era necessario venire fin qua!
E comandò che si tornasse al loro paese, quando i servi più avveduti di lui gli dissero:
- Signore, se il profeta ti avesse proposto qualcosa di difficile, non l'avresti forse fatta, pur di riacquistare la salute? quanto più non dovrai fare ciò che ti ha detto, essendo tanto facile? Il Giordano è qui vicino; vacci e lavati!
Naaman si persuase, andò al Giordano, vi si immerse sette volte e la sua pelle tornò fresca e monda come quando era bambino (II Reg. 5, 1-19).
Osservate come la sanità dipendeva proprio da una cosa che pareva tanto piccola e di poco momento. Lo stesso avviene nelle cose spirituali: il nostro progresso e la nostra perfezione dipendono dalle piccole prescrizioni delle nostre regole; come in un dipinto la perfezione dell'immagine spesso non è data che da qualche tratto di pennello e da lievi tratteggi. Se per conseguire la perfezione fosse necessario compiere cose ardue e difficili, senza dubbio non lasceremmo di farle, anzi le crederemmo più necessarie quanto più costano; quanto più non si dovranno fare allo stesso scopo le cose piccole e facili? Il fatto che le regole ci comandano cose leggere e facili ad osservarsi, non solamente non ci deve permettere di essere negligenti, ma deve spingerci ad un'osservanza più alacre, perché a cose tanto piccole e facili è annesso il nostro progresso nella perfezione.
Si racconta nel libro degli uomini illustri dell'Ordine cistercense che una delle loro regole prescriveva di raccogliere le briciole di pane cadute sulla mensa e di porle in un piatto. Una volta uno di quei monaci timorati di Dio e osservanti della regola aveva raccolte le briciole in mano e, assorto nella contemplazione di quello che leggeva il lettore, continuava a tenersele strette, quando il priore diede il segno di smettere la lettura e di alzarsi. Il monaco allora rientrò in sé e rimase perplesso, perché non poteva più né metterle nel piatto, né mangiarle e, molto confuso per la sua negligenza nell'osservanza di quella regola, non trovò di meglio da fare che andare dal superiore, confessare la colpa e chiedere la penitenza. Difatti, con le briciole strette nel pugno, finito il ringraziamento, si prostra ai piedi del superiore, manifesta la colpa commessa e con molta umiltà chiede di essere punito. Il superiore lo ammonì secondo la gravità della colpa e poi gli domandò cosa avesse fatto delle briciole.
- Padre - rispose -, eccole, le ho qui, in mano.
- Mostramele.
Il monaco stende la mano, l'apre e, invece delle briciole, trova alcune perle preziosissime. L'autore osserva che Nostro Signore volle farci comprendere con questo miracolo quanto gli piacciano i religiosi fervorosi che fanno molto caso non solo delle regole importanti, ma anche di quelle piccole. Questo episodio lo narra Surio nella vita di S. Oddone abate e dice che questo accadde al santo quando era suddito, mentre egli per umiltà lo riferisce come se fosse accaduto ad altro religioso (SURIUS, Novem., Vita S. Odon. Abbatis).
Narra Cesario che al tempo dell'imperatore Federico si rese vacante una delle abbazie dette imperiali, perché l'imperatore provvedeva alla nomina dell'abate. Essendo stati eletti due monaci e non trovandosi un accordo, uno di essi offrì all'imperatore una somma di denaro, che aveva accumulato in monastero, per essere il preferito. Federico accettò il denaro e promise di eleggerlo. Ma, essendo stato informato che il suo competitore era un ottimo religioso, semplice, virtuoso e osservantissimo della regola, si consigliò con i suoi cortigiani circa il modo di eleggere questo, più meritevole, lasciando da parte l'altro. Uno dei cortigiani gli disse:
- Signore, ho sentito dire che questi monaci hanno per regola di portare sempre con sé un ago da cucire; ora, quando Vostra Maestà si troverà in capitolo, chieda al meno osservante in prestito l'ago per pulirsi le unghie; se quello non glielo potrà dare, avrà in ciò una buona occasione per non affidargli l'abbazia, come a monaco che non osserva la regola.
L'imperatore fece così; e poiché il monaco non possedeva l'ago, rivolto al suo competitore disse:
- Padre, prestami il tuo ago.
Quello lo prese e glielo diede; allora l'imperatore disse:
- Padre, tu sei un monaco esemplare e perciò degno di tanto onore; avevo deciso di eleggere il tuo competitore, ma egli se ne è mostrato indegno per l'inosservanza della regola, ciò che si vede dalla negligenza nelle piccole cose; difatti, se non osserva queste, con maggiore probabilità non osserverà le più grandi.
Tolse così l'abbazia al primo, per darla al monaco osservante (Dial., l. 6, c. 15).
Lo stesso Cesario racconta che una nobildonna voleva lasciare il mondo e farsi monaca in un monastero di cui era vicario un certo monaco di nome Plorino. Il giorno del commiato fece un banchetto invitando parenti ed amici e tra essi il vicario. Agli altri invitati fu servita la carne, ma al religioso fu servito del pesce, perché in osservanza della regola e delle disposizioni avute dall'abate, non poteva mangiare carne. Ma egli, vedendo la carne, ne ebbe voglia e con grazia prese un boccone dal piatto del vicino e lo portò alla bocca. Giusto giudizio di Dio! Il boccone si mise in tal modo in gola che non poteva né mandarlo giù, né rimetterlo. Stando quasi per soffocare e sul punto di spirare, un altro religioso presente con un colpo sulla nuca gli fece rimettere il boccone. Tutti compresero che ciò era accaduto in pena della sua disobbedienza (Ibid. l. 4, c. 30).
Nelle Cronache dell'Ordine domenicano fra Perdinando del Castillo racconta che nel tempo in cui S. Domenico viveva nel Convento di Bologna, un demonio cominciò a tormentare improvvisamente un fratello laico con tanta crudeltà, che al rumore dei colpi gli altri religiosi si svegliarono; per ordine del santo, il frate fu portato in Chiesa e con tanta fatica che dieci frati a stento poterono trasportarlo. Appena oltrepassata la soglia un soffio spense tutte le lampade, in modo che rimasero tutti al buio mentre il demonio continuava a tormentare il povero frate. Il santo gli comandò allora in nome di Gesù Cristo di dire perché era entrato in quel frate e continuava a tormentarlo. E il demonio rispose:
- Perché questo pomeriggio ha bevuto senza permesso e senza farsi prima il segno di croce, come stabiliscono le usanze dell'Ordine.
In quel frattempo suonò il mattutino e il demonio disse:
- Non posso rimaner qui, perché ormai i frati dalle cocolle si alzano per venire a lodare Dio.
E lasciò il frate mezzo morto e tanto pieno di ecchimosi, che per due giorni non potette stare in piedi (Part. I, l. 1, c. 60).
S. Gregorio racconta un esempio simile di una monaca, che mangiò una lattuga senza farci sopra il segno della croce ed il demonio entrò in lei (Dialog., l. 1, c. 4).
[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].

