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venerdì 28 settembre 2018

Monastero di clausura a Venezia

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne venete che cercano un buon monastero di clausura in provincia di Venezia, o in altre province italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.




Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."


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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Si risponde ad un'obiezione, chiarendo meglio questa materia

   Ma qualcuno dirà: mi sembra che ci sia qui un rigore eccessivo, perché vedo altri religiosi che non hanno difficoltà a ricevere da parenti o amici un breviario, una cartella e forse anche un abito; sono religiosi colti e pieni di timor di Dio! ed anch'essi sono soliti dare ad un amico, in comunità o fuori, uno dei libri che hanno con sé e altre cose anche di maggior valore, senza chiederne licenza e senza il menomo scrupolo di aver mancato al voto di povertà. Anche noi non peccheremo contro il voto di povertà facendo queste cose, bensì contro la perfezione di esso o contro l'obbedienza al superiore e alle nostre Costituzioni e regole. Questa è buona obiezione e l'abbiamo riferita perché la sua soluzione darà maggior luce su quanto si è detto e siamo per dire.
    Prima di tutto bisogna riconoscere che è vero che ci sono istituti religiosi in cui i loro membri fanno queste cose senza scrupolo e non peccano contro il voto di povertà; ma da ciò non si deduce che non pecchiamo neppure noi. Anzi affermo che se le facessimo noi, non solamente andremmo contro l'obbedienza e le regole, bensì anche contro il voto di povertà. E la ragione sta nel fatto che negli altri istituti religiosi queste cose hanno già il permesso dei superiori, o espresso, o per lo meno tacito, interpretativo o virtuale il quale si ha quando, come dicono i dottori, si usa già far così in quell'istituto, e i superiori lo sanno e lo vedono e, potendolo impedire non lo impediscono, ma dissimulano e sopportano. Chi tace quando può parlare e impedire che si faccia quello che egli sa, è, secondo il diritto, uno che acconsente (Reg. 43 de reg. jur., n. 6). Ora, il religioso che, espresso o tacito, ha dai suoi superiori il permesso di dare o ricevere e di disporre di qualche cosa non pecca, servendosene, contro il voto di povertà; ecco perché molti religiosi non peccano facendo queste cose. Ma poiché la Compagnia desidera conservare nella sua integrità e purezza il muro della povertà, per quanto ciò è possibile, perciò in essa non ci sono permessi di questo genere, né espressi, né taciti, né interpretativi, ma anzi c'è espresso uso del contrario; perciò chi facesse così nella Compagnia peccherebbe contro il voto, come del resto tutti gli altri religiosi, se non ne avessero licenza. Come le monache, che sono anch'esse religiose ed hanno fatto voto di povertà, eppure hanno le loro renditucce con cui si vestono, comperano e fanno altre piccole cose, e consideriamo lecito tutto ciò, perché hanno il permesso dei loro superiori; così è chiaro che se lo facesse qualcuno di noi, senza il legittimo permesso, peccherebbe contro il voto di povertà; non è dunque buona argomentazione quella che ci indurrebbe a credere che quello che si fa in altri istituti religiosi, ci siano pure in esse dottori ed ottimi religiosi, possa farsi lecitamente nel nostro: in quelli c'è un permesso, espresso o tacito, nel nostro non c'è, anzi è in vigore l'uso contrario. Pertanto non sono scrupoli, né esagerazioni quelli che ho esposto, ma verità basate rigorosamente sulla dottrina comune dei dotti.
   S. Bonaventura e Gersone, che sono contemporaneamente dei santi e teologi d'indubbio valore, espongono in termini precisi molti dei casi particolari di cui abbiamo parlato e riducono tutto il commercio del religioso, quanto a dare e ricevere, all'aver avuto o no il permesso del superiore, espresso o tacito: se non l'ha, essi dicono, non può dare, né prendere, né disporre di una cosa senza peccare gravemente contro il voto di povertà, perché sarebbe non essere più povero, ma diventare proprietario di ciò di cui dispone come vuole. Gersone fa il caso dell'economo, che ha il denaro per provvedere le cose necessarie alla comunità, e domanda se è contro il voto che egli comperi per sé un coltello, un astuccio, un paio di occhiali, o anche cose di minor valore come un ago o un po' di filo; e risponde che, se lo fa con il permesso del superiore, particolare o generale, espresso o tacito, non pecca, ma se lo fa senza permesso pecca contro il voto di povertà, come anche se dà o riceve qualcosa da estranei alla casa (BONAVENT., Spec. discip, , part. I, c. 4; GERS., part. 2, q. penultima). Di modo che tutti convengono nell'affermare che il religioso per il voto di povertà è obbligato a non avere, dare, prendere o disporre di nulla senza il permesso del superiore. E se in certi ordini religiosi si stima lecito il tenere in cella qualche piccolo oggetto, di poterli ricevere da amici o parenti dare o disporre di qualche cosetta, ciò avviene perché in essi ce n'è licenza espressa o tacita, altrimenti sarebbe illecito e contro il voto di povertà.
   Da ciò segue una cosa importante sia in questa che in altre simili materie, e cioè che per poter dire ad un religioso se pecca o no in questo o in quello contro il voto di povertà, bisogna conoscere l'uso vigente nel suo istituto in questa materia, per vedere se ce n'è licenza espressa o tacita, altrimenti non si può dare un buon parere al religioso di quell'istituto, perché molte cose possono essere lecite, per l'esistenza di permesso tacito o interpretativo, che non sono lecite altrove, dove lo stesso permesso non c'è.
   Di qui deriva anche il fatto che alcuni autori affermano che non pecca contro il voto di povertà il religioso che riceve denaro da altri per comperare libri o cose simili, purché non nasconda le cose che ha acquistate, ma le tenga alla vista di tutti ed abbia l'animo pronto a lasciarle, se il superiore lo desiderasse. Ma il religioso della Compagnia che facesse ciò, peccherebbe contro il voto di povertà, perché l'affermazione di tali autori dipende dal fatto che essi giudicano che, per chi usa in quel modo, esiste una licenza tacita o interpretativa e che i superiori si ritengono soddisfatti di quella forma di soggezione. Nella Compagnia invece non solo non esiste tale licenza, ma esiste una ben chiara e precisa volontà in contrario. Siamo pertanto obbligati a possedere con quest'animo, con tale soggezione e dipendenza dal superiore, la sottana, il mantello o il breviario che abbiamo ricevuti, disposti a lasciarli, appena ci venisse comandato; altrimenti peccheremmo contro il voto di povertà, perché riterremmo le cose come proprie. Quindi ricevere una sottana, dei libri o altro, tenendoli poi apertamente in camera e con l'animo disposti a darli se ci venisse richiesto dal superiore non è cosa affatto lecita nella Compagnia, anzi vige l'uso contrario e sarebbe perciò contrario al voto di povertà. È certo che se ricevere e tenere senza altri permessi diventasse lecito nella Compagnia, tutti reclameremmo presso le Congregazioni e faremmo tutto il possibile per chiudere quest'uscio, attraverso il quale la nostra povertà potrebbe andare in rovina.
   Avvertono inoltre i dottori che non basta al religioso per dare o ricevere o avere, il saper di certo che, se chiedesse il permesso al superiore subito gliela darebbe, come non basta per uscire di casa o scrivere una lettera senza permesso l'esser sicuri che chiedendone il permesso lo si otterrebbe, ma è necessario sapere che il superiore sarà contento che si dia, si riceva o si tengano quelle cose senza chiedergliene licenza, e che non gli dispiacerà il fatto che non gli è stata chiesta. Tale è il permesso tacito e interpretativo o virtuale, che non rende necessario altro permesso particolare, come c'è in alcuni istituti per le cose che abbiamo detto. Ma nella Compagnia siamo ben lontani dall'avere tale beneplacito dei superiori, perché quello che essi maggiormente desiderano è che tutto passi attraverso l'obbedienza e non permetterebbero mai che qualcuno osasse fare qualsiasi cosa senza permesso. Pertanto nella Compagnia, in questo della povertà e in altri casi particolari, dobbiamo parlare in maniera molto diversa da quella che si usa negli Istituti di cui abbiamo parlato. Ciò che è anche di altri Istituti che operarono casi fin da principio, come si vede dalla loro storia, e continuano allo stesso modo con molta lode.



[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].