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lunedì 17 luglio 2017

Suore di clausura Assisi

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Alle ragazze che cercano nei dintorni di Assisi un ottimo monastero di clausura per poter fare un'esperienza vocazionale, consiglio di andare presso il monastero delle Clarisse di Città della Pieve (Perugia), che a mio avviso è uno dei migliori dell'Umbria.

L'Ordine di Santa Chiara è un istituto religioso di vita contemplativa, le cui monache, oltre ai tradizionali voti di povertà, castità e obbedienza, professano anche il voto di clausura.

Da questi monasteri si innalzano fervide preghiere atte a sostenere il lavoro apostolico dei missionari e di tutti coloro che lavorano attivamente alla propagazione del Corpo Mistico di Cristo. Senza la preghiera, l'apostolato non produce frutti. Le Clarisse di Città delle Pieve sono in maggioranza giovani perché hanno molte vocazioni. Conducono una vita religiosa fervorosa che affascina numerose ragazze. Infatti, la vita religiosa è bella solo se viene vissuta in maniera autentica, senza compromessi. Le monache pubblicano anche la rivista "Forma Sororum" sulla vita clariana e la vita ecclesiale. Le ragazze che desiderano trascorrere alcuni giorni di discernimento vocazionale nel monastero di clausura di Città della Pieve (non molto lontano da Assisi).




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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Il timore di Dio

  Dice l'apostolo S. Paolo: «Lavorate per la vostra salvezza, con timore e tremore» (Phil 2, 12). Una delle cose che ci sarà di maggior aiuto per conservare la virtù della castità, e in generale per conservarci nella grazia di Dio, è vivere nel santo timor di Dio, diffidando di noi stessi, ma ricorrendo a lui e mettendo in lui tutta la nostra fiducia. Ce lo consiglia S. Bernardo (In cant. serm. 54): L'esperienza mi ha insegnato che non c'è mezzo più efficace per ottenere la grazia, conservarla e ricuperarla quando la si fosse perduta, quanto il vivere nel santo timore dinanzi a Dio, senza presumere di sé, secondo il consiglio del Savio: «Fortunato colui che sempre teme» (Prov 28, 14). E, al contrario, una delle cose che ha fatto fare anche ai santi le più miserevoli cadute è stata il fidarsi di sé con poca cautela e timore. «Lo stolto va avanti e non ha paura e perciò cade, mentre il saggio teme e schiva il male» (Prov, 14, 16). Chi porta un liquore molto prezioso in un vaso di vetro delicatissimo, dovendo passare per luoghi pericolosi, dove è facile scontrarsi con altri e soffiano venti contrari, se non conosce la fragilità del vetro, non usa tutta la prudenza necessaria ed è facile che il vetro si rompa e il liquore si versi; ma chi conosce che cosa delicata sia e teme che possa spezzarsi lo custodisce bene, avanza con precauzione e lo porta sicuro da ogni pericolo. Lo stesso accade a noi: abbiamo il liquore e tesoro preziosissimo della grazia e dei doni di Dio in vasi di creta, come dice l'apostolo S. Paolo (Cfr. II Cor 4, 7), che possono facilmente infrangersi e versare il loro contenuto e siamo costretti a camminare sotto l'urto di venti e tempeste con pericolo di scontri fatali. Quelli che non lo sanno bene, non temono tale fragilità e vivono in falsa sicurezza col pericolo di cadere e di perdersi; ma quelli che lo sanno e temono, usano ogni cautela e prudenza per conservarsi e pertanto vivono sicuri: se una sicurezza c'è nella vita, essi la posseggono.
   Donde credi che derivi ad alcune persone, chiede S. Bernardo, l'essersi conservati casti in gioventù, nonostante le lotte e le tentazioni e l'essere poi caduti vilmente nella vecchiaia in turpitudini di cui esse stesse sono stupite? In gioventù vissero nel santo timor di Dio e nell'umiltà e, vedendosi vicine a cadere, seppero ricorrere a Dio e ne furono difese; ma dopo, inorgoglite dal lungo possesso di questa virtù, cominciarono a confidare in se stesse e a sentirsi sicure, e furono immediatamente abbandonate dalla mano di Dio, e fecero quello che era loro più consono, cioè cadere (De ordine vitae et morum instit. c. 6, n. 20).
   S. Ambrogio dice che per questo motivo molti servono Dio, meditando la sua legge notte e giorno, crocifiggono la loro carne, frenano le loro passioni e gli incentivi alla sensualità, sono pazienti nelle disgrazie e costanti nelle persecuzioni e poi, alla fine, cadono miseramente da tale altezza di vita in estrema miseria: perché cominciano a porre la loro fiducia nella loro virtù e santità e nelle loro buone opere, e a presumere di esse disordinatamente; così quelli che il demonio non aveva potuto persuadere con l'allettamento di vizi manifesti, non aveva potuto vincere con l'impeto delle ingiurie e delle persecuzioni, caddero dolcemente, condotti dalla presunzione in se stessi (Ep. 34 ad Demetriadem, c. 10).
   La Sacra Scrittura e le vite dei santi sono pieni di questi esempi; S. Agostino li deplora: Abbiamo visto molti, e di molti altri abbiamo sentito parlare, che erano saliti fino al cielo e avevano posto il loro nido tra le stelle; ahimè! non posso ricordare ciò senza gran timore: quante stelle sono cadute dal cielo! quanti che erano assisi alla mensa di Dio e mangiavano il pane degli angeli, hanno poi desiderato riempirsi il ventre delle ghiande dei porci! Quante castità, più fini e più candide dell'antico avorio, si sono macchiate e trasformate in carboni di fuoco! (Soliloq., c. 28).
   Chi non sarà atterrito dall'esempio di Giacomo l'eremita, narratoci da Lipomano? Egli, dopo aver servito il Signore per quarant'anni in severissima penitenza, giunto all'età di sessant'anni, quando era illustre per miracoli e specialmente nell'arte di cacciare i demoni, cadde miseramente per aver presunto di sé. Gli portarono infatti una fanciulla perché ne espellesse il demonio, ciò che egli fece, ma poi, non avendo voluto riportarla via con sé quelli che la avevano portata, per paura che il demonio non insolentisse contro di loro, permise che la lasciassero presso di lui. Per tanta fiducia in sé, Iddio permise che cadesse: poiché un peccato chiama l'altro, fatto il male, per paura di essere scoperto, la uccise e la gettò in un fiume; poi, per colmo, disperando della misericordia di Dio, decise di tornare al secolo e vi si abbandonò ai peccati nei quali era caduto da vecchio. Ma non gli mancò la misericordia di Dio, perché tornò in sé e dopo dodici anni di rigorosissima penitenza, ricuperò la primitiva santità e fu un santo canonizzato (Lipoman., tomo 5).
   Chi non si spaventerà a causa dell'altro monaco di cui S. Antonio disse: Oggi è caduta una colonna? Chi non tremerà? Chi si fiderà della sua santità? Chi si sentirà tranquillo per.ché può dire: Sono un religioso? Guarda che sono caduti altri migliori di te, più virtuosi, più ricchi dei doni di Dio. S. Gerolamo dice: Non puoi essere più santo di Davide né più saggio di Salomone (Ep. 52 ad Nepot., n. 5) né più forte di Sansone; eppure tutti costoro caddero, e cadde uno dei dodici apostoli, di Cristo, che era stato alla sua scuola e aveva vissuto con quel Maestro e con quei condiscepoli, che aveva ascoltato tanti sermoni e visti tanti miracoli; cadde uno dei sette diaconi, Nicola, eletto dagli apostoli, su cui era disceso lo Spirito Santo come sugli altri, e divenne non solo eretico, ma eresiarca e padre di eretici. Chi non temerà l'antico serpente? Ricordati, dice S. Gerolamo, che i nostri primi padri caddero e  furono scacciati dal Paradiso, in cui vivevano ricchi dei doni di Dio e della giustizia originale e tutto ciò per superbia. E S. Agostino afferma che in nessun modo il primo uomo sarebbe stato ingannato se prima non si fosse allontanato da Dio nel suo cuore per superbia; perché è vera la sentenza del Savio, perché è sentenza dello Spirito Santo: «L'orgoglio è nunzio di non lontana rovina» (Prov 16, 18).
   Se non bastasse l'esempio di uomini saliti così in alto, troverai nel cielo stesso esempi di angeli che per la presunzione della superbia precipitarono dalla grande e sublime dignità in cui Dio li aveva creati. «Ecco quelli che a lui servono non sono stabili e nei suoi angeli ha trovato la pravità. Quanto più quelli che abitano case di fango, i quali hanno per fondamento la polvere, saranno consumati come dal verme?» (Iob 4, 18-19). S. Gregorio fa a queste parole di Giobbe un commento che viene molto a proposito per noi: Se in quel purissimo oro si trovò tanta scoria, se nella natura nobilissima degli angeli non ci fu stabilità né sicurezza, che sarà di noi che abitiamo case di fango? La creta si spezza e si sgretola facilmente. Come potrebbe non temere e presumere di sé un'anima che si trova in un corpo di tal fatta, che da se stesso genera la tignola e nel quale è la radice della sua rovina? Sarà consumato dal tarlo. E molto a proposito è paragonato al tarlo, continua S. Gregorio, perché come questo nasce dalla veste e corrompe e distrugge quella stessa che lo ha generato, così in noi la carne, che è la veste dell'anima, genera il suo verme, da cui nasce la tentazione carnale che ci tormenta; l'uomo è consumato come dal verme quando si lascia corrompere e portare alla perdizione dalla tentazione che nasce dalla sua carne (Mor., 1. 5, c. 27 e 28; lib. 11, c. 25).
   E ben dice: come dal verme; perché come questo rode la stoffa senza rumore, così il verme della perversa inclinazione della nostra carne che è fomes peccati, esca ed incentivo del peccato che portiamo in noi, ci rovina senza rumore, quasi senza che lo sentiamo, molte volte senza che ce ne accorgiamo, se non quando è avvenuto. E se gli spiriti celesti che non hanno il corpo che produce vermi i quali li consumino a tradimento, non seppero perseverare nel bene, quale uomo potrà osare confidare in sé, ben sapendo che porta in sé la causa della tentazione e della perdizione?
   Impariamo da ciò a vivere sempre nel timore: guai a chi non lo avesse sempre con sé! Puoi ben piangerlo, perché presto cadrà! Non sono io a dirlo, è lo Spirito Santo: «Se l'uomo non si tiene fermo nel timore di Dio», fuggendo il pericolo, guardandosi dalle occasioni, scacciando i cattivi pensieri e prevenendo la tentazione, «la sua casa andrà ben presto in rovina» (Eccli 27, 3).
   Nessuno s'inganni dicendo: Io non sento queste tentazioni, né vedo alcun pericolo nel trattare o nel guardare, né queste cose mi fanno impressione! Non ti fidare, perché è il demonio a dar ti questa sicurezza, per farti poi uno sgambetto, quando tu te ne stai più sicuro, e gettarti in terra, ossia all'inferno. Anzi i santi ci avvertono che quanto più grandi sono le grazie che il Signore ci ha fatto e più numerosi i doni che ci ha comunicato, tanto maggiore deve essere il timore, perché i demoni sono più attenti e solleciti per farci cadere. «La sua vivanda è squisita», disse il Profeta Abacuc (Habac. 1, 16); ad essa agognano: è più onorifico per il demonio far cadere un servo di Dio o un religioso che cerca la perfezione che migliaia di uomini del mondo, come si vedrà dagli esempi che presto riporteremo.
   Pertanto S. Gerolamo, nella lettera ad Eustachio, esortandola a non trascurarsi nell'alto stato della verginità, le dice: Per la tua consacrazione, non devi insuperbirti, ma provar timore. Avanzi carica d'oro: sta attenta ai ladri! (Ep. 22, n. 3; 22, 395) Non credere di aver pace su questa terra piena di rovi e di spine; non c'è sicurezza, ma lotta; bisogna star sempre all'erta! Navighiamo su un mare tempestoso in una fragile navicella, qual è la nostra carne, circondati da tanti nemici che cercano di sollevare quante più tempeste è possibile per farci annegare, senza stancarsi mai, né addormentarsi, spiando l'occasione per penetrare in noi. Ci ammonisce S. Paolo con voce potente: «Colui che si crede di star bene in piedi, guardi di non cadere» (I Cor 10, 12); vegli sempre, guardandosi le spalle e non pecchi (Cfr. I Cor 15, 34); se c'è cosa che possa rassicurarci, è il vivere sempre nel santo timor di Dio.
   Ho sentito raccontare nella nostra Compagnia una Cosa che viene molto a proposito; la racconterò come l'ho sentita. Agli inizi della Compagnia, quando il Padre Diego Fabro e il P. Antonio Araoz si recarono dal Portogallo in Castiglia, mandati dal re Don Giovanni III con la principessa Donna Maria sua figliola che andava sposa del re Filippo II, allora ancora principe, i nostri padri erano ben accolti a corte e da essi si confessavano quasi tutte quelle dame. Allora non c'erano tra noi tanti anziani quanti ce ne sono ora: la maggior parte erano giovani e il mondo si stupiva di quella cosa che nella Vita di S. Ignazio è notata come meravigliosa: tanta gioventù con tanta castità (L. 5, c. 13). Da una parte li si vedeva in mezzo a tante occasioni di pericolo, dall'altra si osservava sul loro volto un tale profumo di castità che stupiva la corte dove si parlava di essi con grande ammirazione. Dicono che il re, conversando un giorno col Padre Araoz gli domandasse:
  ?  Mi è stato detto che i Padri della Compagnia portano con sé una certa erba che ha la virtù di conservare la castità.
   Il Padre Araoz, che era uomo di spirito, rispose:
   ? Sì, maestà, vi hanno detto la verità.
   E il re soggiunse:
   ?  Ditemi, per la vostra vita, che erba è?
   ? Sire, rispose il Padre, l'erba che i Padri della Compagnia portano con sé per conservare la castità è il timor di Dio. Essa è l'erba che produce questo miracolo, perché contiene in sé la virtù del pesce di Tobia, gettato sulla bracia (Tob. 6, 8).
  Tutto ciò confermano le parole del Savio: «Chi teme il Signore, non incontrerà male alcuno, e nella tentazione Dio lo libererà» (Eccli 33, 1). E altrove: «Il timore del Signore scaccia il peccato» (Eccli 1,27) «e per suo mezzo l'uomo si allontana dal male» (Prov 15, 27). Portiamo dunque sempre quest'erba con noi, avanziamo sempre nel timore, convinti che non c'è castità senza di esso (cfr. Eccli 2, 6), per farci comprendere che esso è necessario non solo agli. inizi, ma anche alla fine; non solo gli incipienti, ma anche i vecchi servi devono vivere con esso nella casa del Signore; non devono temere soltanto quelli che hanno commesso delle colpe, ma anche i giusti, che non hanno commesso peccati tali da averne paura. Gli uni temano perché caddero, gli altri temano per non cadere; gli uni temano i mali passati, gli altri i pericoli venturi: «Fortunato colui che teme sempre!» (Prov 28, 14).


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].