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domenica 24 giugno 2018

Suore di clausura di Perugia

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne in discernimento vocazionale che cercano in provincia di Perugia un buon monastero di clausura per poter fare un'esperienza vocazionale, consiglio di andare presso il monastero delle Clarisse di Città della Pieve (Perugia), che a mio avviso è uno dei migliori dell'Umbria.

L'Ordine di Santa Chiara è un istituto religioso di vita contemplativa, le cui monache, oltre ai tradizionali voti di povertà, castità e obbedienza, professano anche il voto di clausura.

Da questi monasteri si innalzano fervide preghiere atte a sostenere il lavoro apostolico dei missionari e di tutti coloro che lavorano attivamente alla propagazione del Corpo Mistico di Cristo. Senza la preghiera, l'apostolato non produce frutti. Le Clarisse di Città delle Pieve sono in maggioranza giovani perché hanno molte vocazioni. Conducono una vita religiosa fervorosa che affascina numerose ragazze. Infatti, la vita religiosa è bella solo se viene vissuta in maniera autentica, senza compromessi. Le monache pubblicano anche la rivista "Forma Sororum" sulla vita clariana e la vita ecclesiale. Le ragazze che desiderano trascorrere alcuni giorni di discernimento vocazionale nel monastero di clausura di Città della Pieve (non molto lontano da Assisi), possono scrivere a:

Monastero Santa Lucia
Via Icilio Vanni 6
06062 Città della Pieve   PG


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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

Altri mezzi che ci aiuteranno ad osservare le regole

   Oltre quanto siamo venuti dicendo, ci sarà di grande aiuto per una diligente osservanza delle nostre regole: Primo, il buon esempio e l'edificazione che siamo obbligati a dare, secondo il consiglio dell'Apostolo (Rom 12, 17). Non basta esser buoni per noi, è necessario che siamo luce per il mondo con la nostra vita e il nostro esempio. In tal maniera dobbiamo risplendere dinanzi agli uomini, che essi vedendo la nostra vita esemplare «glorifichino il Padre che è nei cieli» (Matth 5, 16), come sogliono benedirlo quando vedono un albero carico di fiori e di frutti, o anche una bella rosa molto odorosa. Siamo obbligati a dare tale esempio a tutti, ma specialmente ai fratelli coi quali viviamo. Ora tale esempio consiste non solo nell'evitare le colpe gravi, ma anche le piccole, nel mostrarsi a tutti puntuale nell'obbedienza e nell'osservanza delle regole, nel far loro vedere che si stimano le più minute osservanze e si è loro fedeli. Chi brilla in ciò è di migliore esempio ed edifica; anzi, quanto più uno è anziano e dotto, tanto più edifica con l'attaccamento a tali piccole cose. In ciò deve brillare l'anzianità, nel mostrarsi più umile, più mortificato, più puntuale nell'osservanza e nell'obbedienza, come disse Cristo nostro Redentore e Maestro nel santo Vangelo: «Il maggiore di voi sia come il più giovane, e chi comanda, come colui che serve» (Luc 22, 26). Questi sono gli uomini che col loro esempio sostengono la vita religiosa e la fanno progredire, queste san le colonne che la reggono: «Lo farò colonna nel Tempio del mio Dio», come dice l'Apocalisse (Apoc. 3, 12), e: «Ti stabilisco come una colonna di ferro, come un muro di bronzo», come fu detto a Geremia (Ier. 1, 18).
   Al contrario, nella vita religiosa non si può fare più male, che dando un cattivo esempio; quanto più uno sarà anziano, tanto più la sua cattiva condotta sarà di danno, perché l'esempio è efficacissimo a muovere e a trascinare gli altri, come insegnano i santi e l'esperienza, e nel male è anche più efficace. Se un altro vede te che sei più anziano, mettere così negligentemente in pratica le regole e trascurare le piccole cose, che farà, data anche la naturale tendenza di tutti alle cose più libere ed ampie, e la naturale ripugnanza per quelle più ardue e severe? Vedendo una via battuta ed una porta aperta, che altro rimane da fare, se non inoltrarvisi? È quello che l'altro desiderava e non aspettava se non che gli si facesse strada, togliendogli la vergogna. In questo modo si rilassa la disciplina e ti assumi tu la responsabilità del rilassamento; dovrai così dar conto a Dio non solamente delle tue colpe, ma anche delle altrui, perché ne sei stato causa col cattivo esempio, come ben dice il Profeta (Ps. 18, 13). Tutto ciò deve aiutarci ad essere diligentissimi nell'osservanza e a non fare cosa che sia poco edificante.
   Il secondo mezzo capace di farci praticare un'osservanza sempre perfetta è un mezzo molto comune e facile, e ci è suggerito anche dal nostro santo Padre: «Alcune volte durante l'anno tutti chiedano al superiore che dia loro alcune penitenze per i difetti commessi nell'osservanza delle regole, affinché questa cura dimostri quella che ciascuno ha del suo profitto spirituale nella via di Dio» (Const., p. 3, c. 1, § 28; Reg. 52 Summarii). Tanta deve essere la stima per le nostre regole che, quando ci accadesse di mancare, non solo dobbiamo affliggercene interiormente, provandone rimorso, ma dobbiamo mostrarlo anche esteriormente, chiedendo e facendo qualche penitenza; così, anche se capita di mancare, con la penitenza si ripara e si salda il debito, le regole rimangono nella loro interezza e l'osservanza nel suo rigore, come se nulla fosse stato.
   Dicono giuristi e teologi che la legge conserva la sua forza e il suo vigore, è fresca ed integra, come se fosse stata appena promulgata, quando il trasgressore è punito. Perché la legge rimanga nel suo vigore, non è necessario che i sudditi non la trasgrediscano, basta che i trasgressori siano puniti. Ma quando si manca contro di essa a briglia sciolta, senza che ci si badi o che si punisca chi manca, allora quello è segno che quella legge, per l'inosservanza non ha più forza di legge, ma è derogata o abrogata per non usum, perché non è usata o se ne fa l'uso contrario. Lo stesso può ripetersi delle regole. Quando negli istituti religiosi c'è tanto buono spirito che la minima infrazione è subito seguita dalla penitenza, allora l'osservanza delle regole è buona. Ma, quando da una parte si trasgredisce e si fanno molte mancanze e dall'altra non si chiedono penitenze, né se ne fanno, allora si può dire con verità che le regole non sono osservate, perché si trasgrediscono liberamente, nessuno ci bada e i castighi non fiaccano. Domani si dirà che la tal regola non ha più forza, perché l'uso contrario l'ha abrogata, giacché sotto gli occhi dei superiori, o anche soltanto con piena consapevolezza da parte loro, la si infrange senza fame penitenza.
   Perciò i superiori, che sono obbligati a far custodire l'osservanza e solo le sentinelle della vita religiosa, sono obbligati a dar penitenze per le mancanze contro l'osservanza; quando il superiore dà una penitenza o fa una reprensione, non agisce per avversione o per poca stima; egli sa bene che siamo uomini e che non è cosa grave mancare contro le regole, ma adempie un dovere preciso del suo ufficio che lo obbliga a difendere le regole. Se egli passasse sopra alle trasgressioni e le dissimulasse non imponendo penitenze, mostrerebbe di stimarle poco e di essere connivente con i trasgressori; a poco a poco se ne perderebbe l'uso e l'esercizio e la religione si rilasserebbe. Secondo S. Bonaventura proprio questa è la differenza tra le religioni osservanti e quelle rilassate; non che in una si pecchi e nell'altra no: questo sarebbe impossibile (Iac 3, 2); ma nelle prime i trasgressori sono puniti, nelle altre, no (Trat. De sex alis Seraphim, ala 1, c. 2, n. 13).
   Perché il superiore adempia agli obblighi del suo ufficio il nostro santo Padre chiede per lui la collaborazione di tutti e dice: «Alcune volte durante l'anno tutti chiedano al superiore che dia loro alcune penitenze per i difetti commessi nell'osservanza delle regole». Sarebbe penoso per un superiore trasformarsi in un ufficiale giudiziario, pedinando ciascuno dei suoi sudditi e imponendo penitenze per ogni trasgressione; ciò non sarebbe possibile, e, anche se lo fosse, non sarebbe consono con la soavità che caratterizza i nostri rapporti nella Compagnia. Dovete essere voi ad avere tale cura ed essere i primi a dire la vostra colpa al superiore, chiedendo la penitenza, e non dovrete mai permettere che il superiore venga a conoscere le vostre colpe da altri prima che da voi, perché è affar vostro e vi guadagnate più di qualsiasi altro.
   Si rifletta bene al motivo di tale disposizione, addotto dal nostro santo Padre nella stessa regola: «affinché questa cura mostri quella che ciascuno ha del suo profitto spirituale nella via di Dio». Di modo che la premura di andare a chiedere una penitenza quando si manca, mostra la premura che si ha per il proprio progresso; e chi, mancando spesso, non va a chiederne penitenza, mostra di aver poca cura del suo progresso. Perciò quando quest'esercizio in una casa è molto in uso e si fanno frequenti penitenze e mortificazioni, siamo convinti che in essa c'è osservanza e fervore, e tutti avanzano nella reciproca edificazione.
   Ebbene, questo è il secondo mezzo che vogliamo suggerire, ed è molto facile. Non dico che non si debba mai mancare alle regole; non dovremmo essere uomini, ma angeli; mancheremo molte volte; c'è un giusto che non manchi molte volte? (1 Reg 8, 46). Ma quando mostriamo rimorso per le nostre mancanze, diamo segno di esser veri religiosi, di stimare le regole e di essere animati dal desiderio di osservarle. Ci sentano dire la nostra colpa, perché con quella piccola penitenza si saldi la trasgressione della regola; ma anche guadagneremo più di quanto abbiamo perduto, e il demonio non andrà superbo della mancanza che ci ha fatto commettere, anzi ne sarà confuso e svergognato, perché abbiamo saputo soddisfare così bene. Ciò, suo malgrado, confessò lo stesso demonio a S. Domenico, quando questi lo condusse per tutti gli uffici del monastero, perché gli confessasse come in ciascuno di essi tentava i suoi religiosi; giunti in capitolo dove quei religiosi si accusano delle loro colpe e ricevono le riprensioni e le penitenze, il demonio disse: Qui perdo tutto ciò che ho guadagnato nel parlatorio, nel refettorio e altrove.
   E non solo si ripara con la penitenza l'infrazione commessa presso di Dio, ma si ripara anche con gli uomini. Ti sei dimenticato di dar il segnale di un atto comune e non vi sei andato subito? hai fatto pubblica penitenza, ben alla vista di tutti? Con essa è saldata la tua infrazione, perché senza dubbio hai manifestato la tua colpa. Ma se gli altri vedono la tua mancanza e non vedono la penitenza, senza dubbio dicono che in questa casa non si tiene conto della puntualità, ma si agisce approssimativamente.
   Bisogna anche aggiungere che, sebbene sia vero che nella Compagnia le penitenze si usa più chiederle che darle, ed è bene che sia sempre così, pure non si trascura questa seconda maniera, perché ci sono anche le penitenze «che per il medesimo fine i superiori potranno imporre» (Reg. 4 Summarii). Tale dimenticanza potrebbe rendere più dure le penitenze date dal superiore, e qualcuno potrebbe forse anche soffrirne troppo, ciò che sarebbe a svantaggio della vita comune e di poca edificazione. Perciò è necessario che non si perda quest'uso e che lo si pratichi con tutti, perché ce ne sarà sempre l'occasione. E il santo Padre dice che, qualora esso non ci fosse, tutti devono essere disposti ad accettare ed a compiere con buona volontà tutte le penitenze che venissero loro imposte, anche per mancanza non colpevole (Reg. 37 Summarii). In ciò ciascuno mostra la sua virtù e il suo desiderio di progredire, secondo il pensiero dell'apostolo S. Pietro (cfr.1 Pt 2, 20). Che c'è di eccezionale nel sopportare una reprensione o un castigo quando si è sbagliato, e se lo si prende con pazienza? Ma quando non si è dato motivo, e la penitenza viene imposta, come se la colpa ci fosse stata, e ciò non ostante si sopporta con pazienza, questo sì che edifica!
  Sarà infine di grande aiuto all'osservanza delle regole quanto dice il santo Padre nell'ultima regola del sommario e nell'ultima delle comuni, cioè il conoscerle e il comprenderle; pertanto comanda che ognuno le abbia presso di sé e le legga o se le faccia leggere ogni mese. Ci sono alcuni che non sono soddisfatti di sentirle leggere in refettorio e alla lettura spirituale ne leggono ogni giorno tre o quattro, in modo da passarle tutte in un mese: questo ci sembra un'ottima abitudine e la lettura spirituale così fatta ci sembra anch'essa buona. Altra cosa utile è far oggetto d'esame l'osservanza delle regole, non tutte insieme, ma quelle che sembrano più necessarie a ciascuno, prima una, poi un'altra; o anche su quelle che riguardano l'ufficio: sarà questo un esame molto proficuo.
 
[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].