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giovedì 31 gennaio 2019

L'aumento della vita spirituale per mezzo del merito

Di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932).

Noi progrediamo per mezzo della lotta contro i nostri nemici ma più ancora con gli atti meritorii che facciamo ogni giorno. Ogni opera buona, fatta liberamente da un'anima in stato di grazia per un fine soprannaturale, possiede un triplice valore, meritorio, sodisfattorio e impetratorio, che contribuisce al nostro progresso spirituale.

a) Un valore meritorio, col quale aumentiamo il nostro capitale di grazia abituale e i nostri diritti alla gloria celeste: ne riparleremo subito.

b) Un valore sodisfattorio, che inchiude a sua volta un triplice elemento: 1) la propiziazione, che per ragion del cuore contrito ed umiliato ci rende propizio Dio e l'inclina a perdonarci le colpe; 2) l'espiazione che, con l'infusione della grazia, cancella la colpa; 3) la sodisfazione che, per il carattere penoso annesso alle nostre buone opere, annulla in tutto o in parte la pena dovuta al peccato. Questi felici risultati non sono prodotti soltanto dalle opere propriamente dette ma anche dall'accettazione volontaria dei mali e dei patimenti di questa vita, come insegna il Concilio di Trento; il quale aggiunge che vi è in questo un gran segno del divino amore. Che cosa infatti di più consolante che poterci giovare di tutte le avversità per purificarci l'anima e unirla più perfettamente a Dio?

c) Finalmente queste opere hanno pure un valore impetratorio, in quanto contengono una domanda di nuove grazie rivolta all'infinita misericordia di Dio. Come ben fa notare S. Tommaso, si prega non solo quando in modo esplicito si presenta una supplica a Dio, ma anche quando con uno slancio del cuore o con le opere si tende a Lui, così che prega sempre colui che l'intiera sua vita tiene sempre ordinata a Dio: "tamdiu homo orat quamdiu agit corde, ore vel opere ut in Deum tendat, et sic semper orat qui totam suam vitam in Deum ordinat". Infatti, questo slancio verso Dio non è forse una preghiera, un'elevazione dell'anima verso Dio e un mezzo efficacissimo per ottenere da Lui quanto desideriamo per noi e per gli altri?

Per lo scopo che ci proponiamo, ci basterà esporre la dottrina sul merito dicendone:

1° la natura;
2° le condizioni che ne aumentano il valore.
I. La natura del merito.

Due punti sono da spiegare:

1° che cos'è il merito;
2° in che modo le nostre azioni sono meritorie.


1° CHE COS'È IL MERITO.

A) Il merito in generale è il diritto a una ricompensa. Il merito soprannaturale, di cui qui trattiamo, sarà dunque il diritto a una ricompensa soprannaturale, vale a dire a una partecipazione alla vita di Dio, alla grazia e alla gloria. Non essendo Dio tenuto a farci partecipare alla sua vita, occorrerà una promessa da parte sua per conferirci un vero diritto a questa ricompensa soprannaturale. Si può quindi definire il merito soprannaturale: un diritto a una ricompensa soprannaturale, che risulta da un'opera soprannaturale buona, fatta liberamente per Dio, e da una promessa divina che garantisce questa ricompensa.

B) Il merito è di due specie: a) il merito propriamente detto (che si chiama de condigno), al quale la retribuzione è dovuta per giustizia, perchè vi è una specie d'uguaglianza o di proporzione reale tra l'opera e la retribuzione; b) il merito di convenienza (de congruo), che non si fonda sulla stretta giustizia ma su un'alta convenienza, essendo l'opera solo in piccola misura proporzionata alla ricompensa. Per dare un'idea approssimativa di questa differenza, si può dire che il soldato che si diporta valorosamente sul campo di battaglia, ha uno stretto diritto al soldo di guerra, ma solo un diritto di convenienza ad essere citato nel bollettino di guerra o ad essere decorato.

C) Il Concilio di Trento insegna che le opere dell'uomo giustificato meritano veramente un aumento di grazia, la vita eterna, e, se muore in questo stato, il conseguimento della gloria.

D) Richiamiamo brevemente le condizioni generali del merito. a) L'opera, per essere meritoria, dev'essere libera; infatti se si opera per forza o per necessità, non si è moralmente responsabili dei propri atti. b) Deve essere soprannaturalmente buona, per aver proporzione colla ricompensa; c) e, quando si tratta di merito propriamente detto, dev'essere fatto in stato di grazia, perchè è la grazia che fa abitare e vivere Cristo nell'anima nostra e ci rende partecipi dei suoi meriti; d) fatta nel corso della vita mortale o viatoria, avendo Dio sapientemente determinato che, dopo un periodo di prova in cui possiamo meritare o demeritare, arrivassimo al termine, dove si resta fissati per sempre nello stato in cui si muore. A queste condizioni da parte dell'uomo si aggiunge, da parte di Dio, la promessa che ci dà un vero diritto alla vita eterna; secondo S. Giacomo infatti "il giusto riceve la corona di vita che Dio ha promesso a coloro che l'amano: Accipiet coronam vitæ quam repromisit Deus diligentibus se".

2° COME GLI ATTI MERITORI AUMENTANO LA GRAZIA E LA GLORIA.

Pare difficile a prima vista capire come atti semplicissimi, comunissimi, ed essenzialmente transitori, possano meritare la vita eterna. La difficoltà sarebbe insolubile se questi atti provenissero solo da noi; ma in verità si è in due a farli, sono il risultato della cooperazione di Dio e della volontà umana, il che spiega la loro efficacia: Dio, coronando i nostri meriti, corona pure i suoi doni, avendo in questi meriti una parte preponderante. Spieghiamo dunque la parte di Dio e quella dell'uomo e così intenderemo meglio l'efficacia degli atti meritori.

A) Dio è la causa principale e primaria dei nostri meriti: "Non sono io che opero, dice S. Paolo, ma la grazia di Dio con me: Non ego, sed gratia Dei mecum. È Dio infatti che crea le nostre facoltà, che le eleva allo stato soprannaturale perfezionandole con le virtù e coi doni dello Spirito Santo; è Dio che con la grazia attuale, preveniente e adiuvante, ci sollecita a fare il bene e ci aiuta a farlo: egli è dunque la causa primaria che mette in moto la nostra volontà e le dà forze nuove per abilitarla a operare soprannaturalmente.

B) Ma la nostra libera volontà, rispondendo alle sollecitazioni di Dio, agisce sotto l'influsso della grazia e delle virtù, e diviene quindi causa secondaria ma reale ed efficiente dei nostri atti meritorii, perchè siamo i collaboratori di Dio. Senza questo libero consenso non c'è merito; in cielo non meritiamo più, perchè là non possiamo non amare Dio che chiaramente vediamo essere bontà infinita e fonte della nostra beatitudine. D'altra parte anche la nostra cooperazione è soprannaturale: per mezzo della grazia abituale noi siamo divinizzati nella nostra sostanza, per mezzo delle virtù infuse e dei doni lo siamo nelle nostre facoltà, e per mezzo della grazia attuale anche nei nostri atti. Vi è quindi vera proporzione tra le nostre azioni, divenute deiforme, e la grazia che è essa pure una vita deiforme o la gloria che non è se non lo sviluppo di questa stessa vita. È vero che questi atti sono transitorii e la gloria è eterna; ma poichè nella vita naturale atti che passano producono abiti e stati psicologici che restano, è giusto che nell'ordine soprannaturale avvenga lo stesso, che i nostri atti di virtù, producendo nell'anima una disposizione abituale ad amar Dio, siano ricompensati con una durevole ricompensa; ed essendo l'anima nostra immortale, conviene che la ricompensa non abbia fine.

C) Si potrebbe certamente obiettare che, non ostante questa proporzione, Dio non è tenuto a darci una ricompensa così nobile e duratura come la grazia e la gloria. Il che concediamo senza difficoltà e riconosciamo che Dio, nella sua infinita bontà, ci dà più di quanto meritiamo; non sarebbe quindi tenuto a farci godere dell'eterna visione beatifica se non ce l'avesse promesso. Ma ei l'ha promesso per il fatto stesso d'averci destinato a un fine soprannaturale; la qual promessa ci è più volte ricordata nella S. Scrittura, dove la vita eterna ci è presentata come ricompensa promessa ai giusti e come corona di giustizia: "coronam quam repromisit Deus diligentibus se... corona justitiæ quam reddet mihi justus judex". Quindi il Concilio di Trento dichiara che la vita eterna è nello stesso tempo una grazia misericordiosamente promessa da Gesù Cristo e una ricompensa che, in virtù della promessa di Dio, è fedelmente concessa alle buone opere ed ai meriti.

Per ragione appunto di questa promessa si può conchiudere che il merito propriamente detto è qualche cosa di personale: per noi e non per gli altri meritiamo la grazia e la vita eterna, perchè la divina promessa non va oltre. -- La cosa va ben diversamente per Gesù Cristo, il quale, essendo stato costituito capo morale dell'umanità, in virtù di quest'ufficio meritò per ognuno dei suoi membri, e meritò in senso stretto.

Possiamo certamente meritare anche per gli altri, ma solo con merito ci convenienza; il che è già cosa molto consolante, perchè cotesto merito viene ad aggiungersi a ciò che meritiamo per noi stessi e ci fa così capaci, lavorando alla nostra santificazione, di cooperare pure a quella dei nostri fratelli.


[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Desclée & Co., 1928]