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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).
Dell'eccessiva sollecitudine della cura del corpo; quanto in ciò occorra fuggire le singolarità
Come il nostro santo Padre dice che la cura moderata per conservare la sanità e le forze del corpo è lodevole, così afferma che la troppa sollecitudine è biasimevole (Const. p. 8, c. 2, § 1; Reg. 46 Summarii). Avendo già trattato del primo aspetto, tratteremo ora del secondo. In tutte le cose è difficile trovare il giusto mezzo; ma in quel che si riferisce alla cura del corpo e della nostra salute, c'è una particolare difficoltà, perché l'amor proprio è un gran procuratore e s'improvvisa subito medico primario per sentenziare che questo fa male al petto, quello allo stomaco, quell'altro alla testa, e quell'altro ancora agli occhi; così, sotto pretesto di necessità, s'insinua ordinariamente la sensualità.
S. Bernardo canta molto chiaro contro quelli che hanno una cura eccessiva della salute e che, con la scusa di conservarla, vanno accampando esigenze sui cibi, e dice che sono discepoli d'Ippocrate e di Galeno, non di Cristo, perché tali sofisticherie non si trovano nel Vangelo, né nella Sacra Scrittura, ma nei libri di medicina. I legumi, dice, sono ventosi, il formaggio è pesante allo stomaco, il latte fa male alla testa; il bere acqua è insopportabile al petto, i cavoli fomentano la malinconia, i porri eccitano la collera, i pesci d'acqua dolce non si addicono al mio fisico. Che dovremo fare con voi, se non si trovano le cose che vi occorrono né nei fiumi, né negli orti e neppure nella dispensa? Badate che non siete soltanto medici, ma religiosi, e che dovete fare i conti con la vostra professione e non soltanto con le vostre complessioni (Serm. 30 sup. Cant., n. 11-12).
S. Bernardo dà inoltre quattro ragioni molte pratiche, per cui è necessario seguire la comunità, evitando le singolarità. Prima, per la tua pace e tranquillità, perché grande è l'inquietudine che tali singolarità portano con sé: se mi danno o no, se è di peso a chi mi dà; giacché me lo danno, perché mi fanno aspettare? E infine, se una volta sono accontentato, molte volte rimango in attesa. Solo chi lo ha provato sa di quale inquietudine sia causa tutto ciò, e che gran riposo sia poter tornare alla vita comune. Seconda: osserva quanto dai da fare a chi sta in cucina, al refettoriere, a chi serve a tavola, che devono andare avanti e indietro, girare di qua e di là, per accontentarti: cerca di evitare loro tale disturbo! Terza: Bada che sei di peso alla casa con le tue singolarità, perché la mensa comune è pronta per tutti; il dover, senza una vera necessità, provvedere ai tuoi bisogni singolari, annoia ed è di peso. Quarta: tieni conto della coscienza; non dico della tua, ma di quella del fratello che ti sta seduto accanto e mangia ciò che gli danno e si scandalizza del tuo non mangiare; gli offri occasione di mormorare interiormente di te, giudicandoti troppo delicato; e se non giudica te, perché gli sembra che hai veramente tali necessità, giudica interiormente del superiore e di quelli che devono aver cura di te e non provvedono al necessario.
Taluni, continua S. Bernardo, vogliono difendersi e sostenere il loro operato con l'esempio di S. Paolo che esorta il discepolo Timoteo a bere un po' di vino per la debolezza dello stomaco. A costoro risponde: primo, che osservino bene che S. Paolo non prende per sé tale consiglio, ma lo dà agli altri; e che anche l'altro non ha chiesto quel sollievo, ma se lo sente consigliare senza averlo neppure desiderato, mentre questi tali chiedono per sé quella singolarità. E per questo, dice il santo, sospetto molto che c'entri la prudenza della carne, sotto pretesto di discrezione, e che si scambi la sensualità per necessità. Secondo, che S. Paolo non parla a religiosi, ma ad un vescovo, la cui vita era allora preziosa, essendo la Chiesa ai suoi esordi. Datemi un altro Timoteo, ed io gli darò oro macinato da mangiare e balsamo da bere.
E di passaggio aggiunge: Vorrei almeno che, giacché vi piace il consiglio di bere vino, vi piaccia anche quel modico che S. Paolo vi mette accanto: che sia un pochino! S. Gerolamo nella sua lettera ad Eustochio come primo consiglio per custodire la castità raccomanda di non bere vino: Una sposa di Cristo deve astenersi dal vino come da un veleno. Si noti che questa raccomandazione concorda pienamente con quella di S. Paolo: «Il vino è sorgente di lussuria» (Eph 5, 18). S. Gerolamo continua: Il vino è l'arma migliore del diavolo contro i giovani. Né l'avarizia, né il gonfiore dell'orgoglio, né il fascino dell'ambizione sconvolgono così a fondo gli animi. Vino e giovinezza: doppia fornace di voluttà! Perché aggiungere olio alla fiamma? Perché a questa carne che brucia, forniamo combustibile? (Epist. 23 ad Eust., n. 8).
Ma, tornando al nostro argomento, ciò che vogliamo ora raccomandare ai religiosi è la stessa raccomandazione che fanno i santi Basilio, Bernardo e Bonaventura (BAS., serm. de renuntiat. saeculi e spirituali perfectione. - BERN., ubi supra et in formula honestae vitae - BONAV., ut infra.) ed altri, di cercare di abituarsi e di accontentarsi dell'uso comune della loro famiglia religiosa, senza aggiungere nulla di particolare, per quanto è possibile. Per persuaderci a ciò basta constatare che in questo modo risparmiamo molte inquietudini e mormorazioni, a noi come agli altri, come abbiamo già detto. E ancorché non fosse per nostro interesse, per poter star contenti, dovremmo farlo, anche con qualche incomodo, perché molto maggiore è il peso che il vantaggio derivante dalla singolarità. Ma ciò che deve maggiormente convincerci è il pensiero che in tale modo saremo di edificazione ai fratelli, e faremo contenti i superiori e cosa grata a Dio. Si noti bene ciò, perché è dottrina molto pratica ed utile.
Uno dei servizi maggiori che si può rendere nella vita religiosa e uno dei maggiori sacrifici, anzi una delle migliori penitenze, molto gradita alla divina maestà e per noi più vantaggiosa, e una delle cose che più edifica i fratelli, è quella di passare tutta la vita senza godere di singolarità, di vivere con costanza nella involabile abitudine di osservare in ogni cosa il rigore comune della Religione, accontentandosi sempre del vitto comune, vestendo come vestono tutti, facendo quello che fanno tutti, senza mai godere di privilegio né esenzione; se volete fare qualche penitenza o avere modo di esercitare la mortificazione, ecco quale deve essere la prima e principale.
Pertanto i santi e i maestri di vita spirituale dicono che le altre penitenze sono da moderarsi in modo che tutte le energie convergano su questa che è la principale (De informatione Novitiorum, c. 9). Il superiore stimerà molto poco le tue discipline e i tuoi cilizi, se poi non ti accontenti di quello che usano tutti gli altri e cerchi di avere delle comodità nella veste o in camera. Quella che ti sto consigliando è una penitenza per la quale non c'è bisogno di chiedere permesso, che puoi fare senza pericolo di vanagloria, perché non ha l'apparenza di penitenza, né gli altri si chiedono se per te sia una mortificazione o no; e d'altra parte è una delle migliori e più gradite a Dio. Quella che sembra una vita piana e comune è singolare dinanzi a Dio ed è di una solida e sicura perfezione.
Al contrario una delle cose più dannose è il cominciare da parte di qualcuno con qualche esenzione, sia pure chiesta con pena e, a suo parere, a titolo più che giustificato. E ciò è tanto vero che S. Bonaventura riconosce in questo una delle principali cause della tiepidezza e del rilassamento. Anche se sei un anziano, dice, ed hai già lavorato molto per la tua famiglia religiosa, con ciò la danneggi moltissimo, perché coloro che vengono dopo di te non vedono la tua virtù precedente, non sanno quanto hai lavorato prima della loro venuta, ma osservano solo l'esempio che dài loro nella regolare osservanza, nella quale giustamente desiderano di essere sempre preceduti dai più anziani; e questi, essendo venuti prima, devono essere i primi anche nell'osservanza delle regole, guida ed esempio di quelli che entrano con nuovo fervore nel servizio di Dio, che altrimenti si scandalizzano e cominciano ad imitarli, intiepidendosi dietro il loro esempio (Quaest. 49 circa Reg.; de informat. Nov., c. 9).
Ben comprese ciò il nostro santo Padre e per prevenire il danno che poteva derivarne, tra le altre cose che fa domandare a quelli che entrano nella Compagnia e vogliono incorporarsi ad essa, c'è questa: «Se sono contenti di vivere nei collegi e di passarsela in essi come se la passano gli altri, senza pretendere privilegi e singolarità, né volere che si faccia con essi più di quello che si fa per il più piccolo della casa» (Exam., c. 7). E comanda che ciò si domandi in modo particolare ai laureati e a quelli che avranno delle responsabilità nella Compagnia, perché sembra che in essi ci sia maggior pericolo di singolarità e di esenzioni. Essi non comprendono il male che fanno, anche se le esenzioni sono in cose piccole, perché subito l'altro, che crede di aver lavorato egualmente molto e di avere la stessa necessità, vuole lo stesso privilegio; poi uno che ha alquanto minor merito e necessità e poi ancora un altro; e così viene a rilassarsi e a distrugger si la disciplina religiosa. Pertanto S. Bernardo chiama questi tali «divisori dell'unità e nemici della pace». Sarebbe meglio che non predicassero o che non s'intendessero di affari, anziché dover usufruire di esenzioni, perché è più quello che distruggono che quello che fanno. Pertanto il nostro santo Padre ci previene avvertendo ci che nella Compagnia non ci sono esenzioni, e che tanto fa essere anziano, insegnante, predicatore o essere stato superiore. Anzi dobbiamo stabilir saldo questo fondamento che nella Compagnia con nulla si può perdere più facilmente la stima che col far comprendere che, essendo anziano, o insegnante, o predicatore o altro, si desidera godere di uno speciale trattamento. I più anziani o i più dotti sono proprio quelli che devono dare maggiore edificazione in tutto, quelli che col loro esempio devono sostenere la disciplina religiosa, conformandosi ai più umili (Cfr. Rom 12, 16); a ciò devono servire la dottrina e l'anzianità nella vita religiosa!
[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].