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mercoledì 25 ottobre 2017

Suore di clausura Monza

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Le donne che sentono nel proprio cuore di avere la vocazione alla vita matrimoniale, ma non riescono a trovare un fidanzato cristiano, possono leggere il seguente annuncio di un ragazzo che sta cercando una donna che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Cliccare qui per leggere l'annuncio.


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Alle donne brianzole che cercano un buon monastero di clausura in provincia di Monza, o in altre province, nel quale fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.


Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Voglio riportare un brano di una lettera che mi scrisse una mia amica attratta dalla vita monastica: "Il mio più grande desiderio è quello di consolare Gesù, curare le sue piaghe, adorarlo, asciugare le sue lacrime, passare la mia vita con Lui, dargli tutto, non tenere niente per me, e sacrificare tutto per amor suo, vivere di Lui, per Lui, in Lui; amarlo fino a fondermi completamente in Lui, contemplarlo, supplicarlo di salvare i peccatori, di accordare la sua misericordia, di dar loro la fede. Voglio consolare Gesù per tutti gli oltraggi fatti al suo Sacro Cuore e al Cuore Immacolato di sua Madre. Se potessi, mi piacerebbe fargli dimenticare tutte le sue sofferenze, asciugare le lacrime che ha versato per noi."


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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Si esaminano casi particolari contro il voto di povertà

   In base ai princìpi e alla dottrina comune ai dottori che abbiamo esposto, si possono risolvere alcuni casi particolari che possono accadere; e poiché in morale si insegna molto più efficacemente per via di esempi, ne riferiremo alcuni, in base ai quali saranno risolti tutti gli altri casi.
   Per primo dico e concludo dal fin qui detto che, se il superiore dà del danaro per il viaggio, il religioso non potrà spenderlo per comperare rosari, immagini o altro con essi, abbellirsi l'Agnus Dei, o il reliquiario, ancorché lo risparmi sul vitto o sulle altre spese di viaggio. Il denaro dato per le spese di viaggio, dève essere usato solo per le spese di viaggio e tutto. quello che avanza, comunque avanzi, deve essere restituito al superiore che lo ha dato o a quello della casa in cui si giunge; tutto quello che è speso per sé, in altre cose, o per altri, è rubato alla Religione, e pertanto si pecca contro il voto di povertà. Questo naturalmente quando il superiore dà tutto quello che può essere necessario per il viaggio, come si usa da noi. Sarebbe diverso; se venisse dato in modo determinato e tassativo un tanto al giorno, di modo che, avendo bisogno di più, non lo si ottiene; in tal caso è segno che c'è il permesso tacito, presunto o interpretativo di spendere in altre cose oneste quello che potrà sopravanzare del denaro ricevuto.
   Secondo: Affermo che avviene lo stesso quando il necessario per le spese di viaggio non sia stato dato dal superiore religioso, ma dai genitori, da qualche parente o amico; non si può con esso comperarsi un breviario, un astuccio, gli occhiali o altro, né per sé, né per farne dono. Nessuno inganni se stesso dicendo: Non è stato il superiore a darmelo, ma quell'amico o quel parente: chiunque sia stato, la cosa non cambia, perché quel denaro entrando in tuo potere è diventato della Religione, e perciò è come se tu lo avessi ricevuto dal superiore o dall'economo come abbiamo detto nel capitolo precedente. Pertanto non lo si può spendere che secondo lo scopo indicato dal superiore, che in questo caso sono le spese di viaggio; e tutto quello che avanza, comunque avanzi, deve essere reso al superiore; se si spendesse diversamente, si peccherebbe contro il voto di povertà, perché sarebbe un furto fatto alla Religione. E questo, se il denaro lo hai ricevuto col permesso del superiore, perché se tu lo avessi preso senza permesso, per questo stesso fatto, peccheresti contro il voto di povertà, come abbiamo già detto.
   Terzo: Lo stesso accade quando uno viene da una missione o dal suo paese, se prima di partire ha ricevuto qualche cosa, come il necessario per il viaggio o qualche vestito; una volta venuto in suo potere è divenuto comune, e perciò, appena giunto a casa, deve consegnare quanto ha ricevuto al superiore o al guardarobiere in suo nome. Se lo trattenesse senza permesso, diverrebbe proprietario e peccherebbe di furto contro il voto di povertà.
   Quarto: Trovandosi uno in viaggio per andare in altra casa o collegio, al momento di partire non può chiedere o ricevere nulla da nessuno senza licenza del superiore presente, anche se è sicuro che il superiore della casa cui è diretto ne sarà contento, perché gli risparmia le spese di viaggio. Ciò perché al momento il tuo superiore è quello presente, non l'altro, e avendolo presente, come lo hai, devi chiedergli il permesso e non puoi ricevere niente senza di esso. La cosa sarebbe diversa se tu ti trovassi fuori casa, già in viaggio senza il superiore a cui chiedere permesso: in tal caso si può ricevere quello che si presume il superiore permetterebbe, con l'intenzione di manifestarlo e di dargliene conto una volta giunti a casa. In questo caso si può presumere il permesso del superiore, ma non si può presumerlo, quando si può facilmente far ricorso al superiore o la cosa può essere differita.
    Quinto: Da quanto abbiamo detto si deduce anche che, se il superiore dà permesso ad uno di ricevere del denaro e di farselo conservare dal procuratore, per uno scopo determinato, come ad esempio, far recapitare dei manoscritti, quel denaro non può essere speso diversamente senza permesso del superiore, né può esser dato ad altro religioso della casa per una qualsiasi necessità sua o di altri, penitente, parente o amico che sia, né in elemosina, né in premio sotto forma di rosari, di stampe o altro: né l'altro lo può ricevere senza permesso. Sia l'uno che l'altro trasgredirebbero al voto di povertà, perché dare, ricevere o disporre di qualche cosa temporale, senza il permesso del superiore è contro il voto di povertà, come abbiamo già detto.
   Sesto: Come il religioso non può dare né ricevere senza permesso del superiore, così non può neppure ricevere in prestito, perché dal voto di povertà gli è stato proibito qualsiasi contratto, sotto qualunque forma. Nelle cose piccole, però, e di uso frequente, si presume che ci sia la licenza tacita o generale per dare in prestito ad un altro fratello della stessa casa le cose che si tengono con debito permesso, per un tempo più o meno breve: ciò è secondo l'uso comune nella vita religiosa.
   Settimo: Pecca contro il voto di povertà il religioso che, senza permesso del superiore, prende qualche cosa in deposito da persona di fuori o di casa. Anche questo è un vero. contratto, perché il ricevere in deposito importa l'obbligo di darne conto e di risarcire nel caso che la cosa depositata si perdesse o deteriorasse per colpa a lui imputabile. Senza dire della preoccupazione che nasce dal fatto di avere presso di sé denaro altrui o cosa di valore o dello scandalo che potrebbe nascerne qualora si trovasse un religioso in possesso di tali cose senza permesso e senza che si sappia di che cosa si tratti. Ma delle cose ordinarie che il religioso può tenere con il debito permesso presso di sé in cella, l'uso e la pratica della vita religiosa consentono che possa anche darle ad un altro di casa, perché gliele custodisca.
   Ottavo: Com'è contro il voto ricevere o tenere in proprio possesso denaro o cosa equivalente, senza licenza del superiore, così è anche contro il voto tenerli presso di un altro, sempre senza il permesso del superiore; perché è perfettamente lo stesso il tenerli in mano di un amico. o tenerli con sé. Pertanto se uno si facesse tenere da un suo penitente o da un suo amico qualche cosa, per esempio il necessario da viaggio, per poi farselo restituire al momento della partenza, questo tale peccherebbe contro il voto di povertà, come se lo tenesse presso di sé.
   Nono: Non è conforme al voto di povertà, come lo si professa nella Compagnia, anzi sa di proprietà, il portare con sé, trasferendosi in altra casa i libri o le immagini che si avevano in uso. Questo non è assolutamente permesso nella Compagnia (In Instr. et Regula 25 Communium.) e perciò c'è l'ordine che di tutte le cose che ciascuno tiene con debito permesso presso di sé, faccia una nota onde siano considerati come oggetti appartenenti alla casa o al collegio in cui risiede, e quando dovesse trasferirsi altrove non possa por tarli con sé. Se qualcuno le portasse via senza permesso, commetterebbe un furto ai danni della casa in cui erano inventariati e quindi peccherebbe contro il voto di povertà; e ciò anche se fossero stati dati a lui e non alla Religione, per i motivi che abbiamo esposti nel capitolo precedente.
   Decimo: Pecca contro il voto di povertà il religioso che spende per cose illecite vane e superflue, anche col debito permesso, perché ciò è proibito dal voto ed è espressamente dichiarato dai sacri Canoni (CLEMENT., II de stat. Monach. - ABULENS., in Matth., c. 6, q. 37; MOLINA, tom. 2, disput. 276). Neppure il superiore potrebbe spendere per tali cose, e quindi non può neanche darne il permesso; ma soltanto per cose necessarie, utili ed oneste. Ne segue che chi, per caso, ricevesse le cose comperate illecitamente dal religioso, sarebbe obbligato a restituirle alla casa religiosa, secondo quanto abbiamo detto nel capitolo precedente.
   Undecimo: È contro il voto di povertà tener qualcosa nascosta, perché il superiore non la veda e non la tolga, perché ­ secondo i dottori - è un modo di appropriarsi e conservare contro la volontà del superiore.
   Dodicesimo: Se l'ufficiale cui è commesso di distribuire o disporre di alcune cose - ufficio che non può compiere di libero arbitrio, ma secondo le disposizioni impartitegli dal superiore desse più di quanto gli ha ordinato il superiore o cose migliori o peggiori, peccherebbe contro il voto di povertà, perché dispensa le cose da proprietario e non da ufficiale dipendente da altri.
   Tredicesimo: Come peccherebbe contro il voto di povertà il religioso che deliberatamente mandasse a male o sciupasse le cose appartenenti alla casa, affidategli per incarico o di suo uso, così pecca contro il voto di povertà chi per negligenza o colpa notevole, le dissipa e le fa andare a male, perché è lo stesso. Il motivo è questo: primo: è proprio di chi è padrone consumare o dissipare secondo il proprio capriccio; secondo: perché al religioso si può concedere solamente l'uso delle cose affidategli per la sua utilità personale o per il bene dell'istituto, e, pertanto, se consuma o spreca, pecca contro il voto. Si deve avvertire a questo riguardo anche l'entità del danno: se pur essendo esso piccolo, si ripetesse molte volte, potrebbe diventare grave.
   È sintomatico l'episodio narrato da Cassiano: una volta il dispensiere, entrando in cucina, vide a terra tre chicchi di lenticchie, che erano cadute per caso dalle mani del cuoco mentre le lavava, e andò a riferirlo all'abate che chiamò il cuoco e gli dette una pubblica penitenza per la negligenza con cui trattava le cose del monastero. Quei santi monaci, dice Cassiano, consideravano non solo se stessi, ma tutte le cose come consacrate a Dio e le trattavano perciò con cura e rispetto, per quanto piccole fossero (De instit. renuntiant., l. 4, c. 20).

[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].