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sabato 1 dicembre 2018

Suore di clausura di Rovigo

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Alle donne venete che cercano un buon monastero di suore di clausura a Rovigo, o in altre città italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.



Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."

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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Nel libro degli Uomini illustri dell'Ordine Cistercense, si racconta che un abate di un monastero di Sassonia non si accontentava di vestirsi col panno che si trovava in quel paese, ma mandava ogni anno a comperare in Fiandra panno fine e prezioso, con cui faceva le sue tonache. Morto l'abate i monaci si divisero le sue vesti, e al priore toccò una di quelle tonache. La indossò una notte per un mattutino solenne, come per dar maggior solennità alle festa, ma, come se avesse indossato lamine di fuoco, cominciò a gridare che bruciava; gettò allora lontano da sé la tonaca e tutti videro che mandava scintille, come se fosse fatta di ferro ardente. Attoniti e spaventati, tutti quelli che avevano preso per sé una delle tonache del defunto abate le portarono, facendone un mucchio, da cui cominciarono ad uscire scintille da tutti i lati, come da un forno acceso, e il fenomeno fu così lungo che poterono darne avviso a tutti gli abati della regione, che si recarono sul posto e furono testimoni di così tremendo giudizio di Dio.
   Cesario narra che un cavaliere aveva fatto molte offese ad un monastero di Benedettini, in Francia; i monaci decisero allora di mandare un monaco dal re Filippo, perché presentasse le loro querele per le ingiustizie che pativano, e scelsero un giovane monaco di buona famiglia, perché trovasse presso il re migliore accoglienza. Giunto dal re, il monaco disse:
   - Un cavaliere ha fatto gravi offese al monastero; supplico la tua maestà di volerlo redarguire e costringere a restituire tutto quello che ci ha ingiustamente tolto.
   Il re guardando l'abito e i gesti del monaco, gli disse chi fosse; e, appreso che era figlio di uno dei suoi più rinomati cavalieri, aggiunse altre cose, cui il monaco rispose:
   - Sire, in verità, ci ha privato di tutto quanto avevamo, e siamo rimasti quasi con nulla.
   E il re:
   - Si vede bene dalle tue scarpe; se un po' di cuoio vi fosse rimasto, non sarebbero così attillate! Quanto più siete nobili, tanto più dovete essere umili!
   Poi, volendo smorzare l'effetto delle sue parole, aggiunse:
   - Non darti pena per la mia ammonizione; ho parlato per il tuo bene. Torna pure a casa; farò in modo che nessuno vi molesti (Dialogor., l. 4, c. 12, 23).
   Un altro episodio simile racconta ancora Cesario, accaduto ad un altro Filippo, re dei romani, che rispose quasi allo stesso modo ad un abate di Cistercensi, che gli parlava delle strettezze in cui si trovava il suo convento. Osservando le sue scarpe che gli stavano a pennello, il re disse:
   - Ben vedo dalle tue scarpe la povertà della vostra casa; deve esserci scarsezza anche di cuoio! -constatazione di cui l'abate si vergognò molto (Ibid., c. 13).
   Narrano le Cronache dell'Ordine francescano che un guardiano molto intimo di S. Francesco fece un oratorio per i suoi frati e vi costruì accanto una cella un po' appartata in cui il santo potesse ritirarsi in orazione, quando si recava al convento: voleva in questo modo invogliarlo a fermarsi il più a lungo possibile presso di loro. La cella era fatta di semplici tavole di legno grezzo. Giunto il padre S. Francesco lo condusse a vedere la cella, e il santo gli disse:
   - Se vuoi che io mi fermi qui, falle un rivestimento di virgulti e rami d'albero, perché si veda la sua povertà. Lo fecero e il santo vi si fermò alcuni giorni (Part. I, l. 2, c. 20).
   Del nostro padre S. Francesco Borgia apprendiamo dalla Vita che in tutto dava non dubbi seghi della sua povertà e del grande amore che portava a questa virtù: nel vestito, nel cibo, nella cella, e anche in cose più piccole, come nella carta che usava per i suoi sermoni, nel fuoco che si accendeva per lui in qualche necessità e in altre cose simili, tanto che non lo si vedeva prendere scarpe o calze nuove. E quando vollero trarlo in inganno ponendone un paio nuove al posto di quelle vecchie, non le usò. Quando andava a chiedere l'elemosina, mangiava più volentieri i tozzi di pane che lui o altri portavano a casa, che il pane intero posto in tavola. Durante i viaggi, per quanto lunghi e faticosi, e sebbene malandato in salute, non permetteva che si portasse per lui un lenzuolo pulito, temendo che ciò fosse contro la santa povertà. Molte volte dormiva d'inverno in porticati coperti di tetti mal connessi, nei quali, il vento penetrava da tutte le parti, con tanta allegrezza da mettere stupore e confusione nei compagni. Sia d'inverno come d'estate si difendeva dall'acqua raddoppiando il suo mantello e usandolo dal rovescio, perché non si sciupasse, e per miracolo sopportò d'essere calzato di stivali o d'altra cosa che lo difendesse dalla pioggia. Soleva dire che lo stesso cappello era sufficiente a difendere dal sole e dall'acqua. Non poche volte giungeva nelle osterie fradicio di acqua e pieno di freddo e la sua gioia sprizzava quando, giunto in quelle condizioni, non trovava un buon alloggio. In nessuna malattia per quanto freddo e rigido fosse il tempo, permise che si attaccasse nella sua stanza qualcosa che lo riparasse, sembrandogli eccessiva persino la piccola stuoia inchiodata a capo del letto: tutto ciò era in lui tanto più stupendo, perché molto grandi erano le ricchezze che aveva lasciate (Vita, l. 4, c. 2).


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].