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mercoledì 25 giugno 2025

Suore di clausura Treviso

Alle donne venete che cercano un buon monastero di clausura in provincia di Treviso, o in altre province italiane, nel quale fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di sceglierne uno nel quale il carisma dell'istituto religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.






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Le monache visitandine, appartenenti all'Ordine della Visitazione di Santa Maria, sono un ramo della vita religiosa fondato nel 1610 da San Francesco di Sales e Santa Giovanna di Chantal. Questo ordine è nato con l'intento di offrire un'alternativa alla vita monastica tradizionale, combinando la contemplazione con un forte impegno verso la comunità. Le monache visitandine si dedicano alla preghiera, alla meditazione e all'educazione, cercando di vivere una spiritualità che unisce l'amore per Dio e il servizio al prossimo.

La regola delle monache visitandine enfatizza la dolcezza, la pazienza e la carità, valori fondamentali per la loro vita quotidiana. Le monache vivono in monasteri, dove seguono una routine di preghiera e lavoro, ma sono anche attivamente coinvolte in opere di carità e educazione. Molte di loro si dedicano all'insegnamento, contribuendo alla formazione delle giovani generazioni e promuovendo valori cristiani. Questo impegno educativo è una delle caratteristiche distintive dell'Ordine, che si propone di formare non solo menti, ma anche cuori.

Le monache visitandine affrontano le sfide della vita quotidiana con una profonda fede e una forte comunità. La loro vita è caratterizzata da un equilibrio tra contemplazione e azione, dimostrando che la spiritualità può manifestarsi anche attraverso il servizio agli altri. La loro presenza nei monasteri e nelle scuole è un richiamo alla bellezza della vita religiosa e all'importanza di vivere la fede in modo attivo.

In un mondo che spesso sembra frenetico e superficiale, le monache visitandine offrono un esempio di serenità e dedizione. La loro vita di preghiera e servizio è un invito a riflettere su ciò che è veramente importante, incoraggiando tutti a cercare un equilibrio tra la vita spirituale e le responsabilità quotidiane. La loro missione continua a ispirare molte persone, mostrando che la vera felicità può derivare dall'amore per Dio e dal servizio al prossimo. Con la loro dedizione e il loro esempio, le monache visitandine rappresentano un faro di speranza e di pace nel mondo contemporaneo.



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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Bisogna tener conto di quello che riguarda la castità specialmente nella confessione

   S. Bonaventura, trattando della confessione, espone una dottrina generale ed importantissima; egli dice di guardarsi dal non confessare cose che fanno arrossire, dicendo, come avviene di solito; questo non è peccato, o anche: non sarà peccato mortale, e i peccati veniali non siamo obbligati a confessarli; perché penetrano così mali seri nell'anima e per molti ha avuto inizio di qui la loro perdizione (Spec. discipl.). Dio vi liberi dal dare quest'ingresso al demonio, dall'aprirgli questo portoncino. Non gli occorre di più per il suo lavoro! Presto, il rossore unendosi all'umiliazione dell'accaduto, vi farà credere che non era peccato ciò che lo era, o per lo meno c'era dubbio che lo fosse e vi indurrà a non confessarvi. Questa forma di vergogna è solita nelle persone che sono generalmente buone, quando accade qualche disgrazia, perché, essendo naturali e ben radicati nell'anima la superbia e il desiderio della stima, dispiace molto perdere la buona reputazione che aveva di loro il confessore; così cercano di convincersi che quel peccato, che si vergognano tanto di manifestare, non era peccato mortale e pertanto non sono obbligati a confessarlo.
   Qualche altra volta, per non tacere del tutto, dicono la cosa a metà e in tali termini e con tante circonlocuzioni, da non farsi quasi capire, o, per lo meno, da farla sembrare meno grave; ed allora è come se non si dicesse. Chi si confessa deve confessarsi in termini chiari, in modo che il confessore comprenda la gravità del peccato. Se uno si confessa in modo che non sembri peccato o che non se ne comprendano la gravità e le circostanze aggravanti, è come se non si confessasse: è accecato ed ingannato dalla vergogna, o per meglio dire, dalla superbia. Ha poco dolore delle sue colpe chi non ha la virtù necessaria per manifestarle al confessore; invece proprio quella vergogna andrebbe offerta in soddisfazione della colpa commessa, per placare così Dio nostro Signore; anzi la repugnanza e la difficoltà nel manifestare la nostra colpa dovrebbero servire a farci diventare sospettosi e a comprendere che bisogna manifestarla, anche quando non servisse ad altro che a vincere quella difficoltà e ad impedire al demonio di riuscire vittorioso.
   Specialmente per il fatto che ci sono molte cose in questa materia che agli ignoranti non sembrano peccato mortale, mentre lo sono. E altri che non è facile determinare se giungono o no ad esserlo. Molte volte lo stesso confessore, per quanto dotto, non sa determinare se era o no peccato mortale: come può il penitente, in causa propria, sciogliere il caso e determinare se deve confessarlo o no? Si espone ad un grave pericolo, specialmente quando è piuttosto incline a non confessarlo o vorrebbe, se fosse possibile, diminuirlo per la vergogna che sente nel manifestarlo. Io non mi azzarderei a rassicurarlo. Non occorre altro testimonio che la coscienza di ciascuno, perché chi, in confessione, si accusa di cose minori, non può non provare rimorso di non dire quello che è più grave del resto. Non oseresti far ciò nell'ora della morte: ebbene, non osare di farlo ora, perché dobbiamo confessarci sempre e far tutto come se dovessimo morir presto. S. Gregorio dice che è segno di bontà d'animo temere la colpa anche dove non c'è (Epist. ad Aug., l. 11, ep. 64, resp. 10). Pertanto è segno contrario il non temere la colpa dove c'è da temerla.
   Certuni dicono: Lascio perdere per non diventare scrupoloso. Ecco un altro inganno in cui ci trascina il demonio, il non voler diventare scrupolosi, perché quelli che vogliono essere virtuosi, confessano e devono confessare cose molto minori non per necessità né per scrupolo, ma per devozione e rispetto al Santissimo Sacramento.
   È tanta la purezza con cui dobbiamo andare a riceverlo, che si consiglia di confessare in questa materia anche ciò che non è colpa. Mi accuso, Padre, di aver avuto delle tentazioni disoneste; o se ti pare di essere stato negligente nel respingerle: Mi pare che fui alquanto negligente nell'ammetterle e nello scacciarle; anche se non c'è che leggerissima colpa, perché le negligenze sono facili e tali tentazioni molto vischiose. Ma se ti pare di non essere colpevole, allora devi dire: Mi accuso di aver avuto molti pensieri e tentazioni disoneste, aggiungendo:
   Ma, per misericordia di Dio, feci quanto potei e non ebbi colpa. Allo stesso modo si consiglia di confessare i cattivi pensieri contro Dio e i santi, e contro la fede.
   Dicono che bisogna confessare anche cose più piccole, come ad esempio quello che può essere accaduto dormendo, in cui si è sicuri che non c'è colpa, perché non può essercene senza libertà; tuttavia è buon consiglio quello di accusarsi anche di tali fantasmi, pur non essendo necessario, per non aver dato occasione; gli uomini pieni di timor di Dio sono soliti riconciliarsi a questo proposito prima della comunione, per rispetto a così sublime Sacramento. I teologi discutono se non sia il caso di rinviare la Comunione all'indomani, quando non ci sia motivo di farla il giorno stesso, come può accadere per i religiosi quando si comunica tutta la comunità e sarebbe notata la loro astensione; ma, giacché si dà il permesso di comunicarsi, è bene seguire il consiglio già dato.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].