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mercoledì 1 novembre 2017

Suore di clausura in Toscana

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Ci sono ancora dei monasteri di clausura in Toscana? Certo! Ma se vuoi diventare monaca, dovrai essere prudente e sceglierne uno in cui la vita monastica si viva in maniera coerente.

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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

 Si racconta che Rabaudo, principe di Francia, del quale la vocazione e l'ingresso in Religione hanno del miracoloso, trovava questa vita aspra e difficile, perché era stato allevato con molte delicatezze e che l'abate Porcario, che era allora superiore del Monastero, gli permetteva alcune cose straordinarie, più adatte alla sua complessione; però esse non solo non lo facevano più robusto, ma lo rendevano sempre più delicato e infermiccio.
   Avvenne che un giorno, mentre mangiava alla mensa comune, nella quale gli altri non avevano che un po' di pan duro e alcune fave, gli parve di vedere due venerabili vegliardi, l'uno calvo con in mano due chiavi e l'altro monaco, con un vaso di cristallo in mano, fare il giro del refettorio; essi davano a ciascun monaco qualcosa che toglievano da quel vaso e solo a lui non dettero altro che uno sguardo accigliato col volto severo. Ma egli prese come poté dal piatto del vicino un po' di quello che era stato distribuito e ne mangiò, provandone tanto soave sapore che gli pareva non avesse quel cibo nulla a che fare con i tanti saporosissimi che aveva mangiato durante tutta la vita. Essendosi ripetuta la visione tre volte, andò dall'abate e gli chiese con insistenza chi fossero i due vegliardi che aveva visto. L'abate comprese subito e intese che erano l'apostolo S. Pietro, patrono del monastero, e S. Onorato suo fondatore, e che non gli davano il cibo che distribuivano a tutta la comunità perché egli non seguiva in tutto la via comune e si avevano per lui delle particolarità. Rabaudo, udito ciò, si decise a sforzarsi di seguire in tutto il rigore la comune disciplina monastica e la cosa gli fu molto più facile di quanto non fosse sembrato da principio. Dopo poco tempo vide giungere gli stessi santi i quali, dividendo come le altre volte i cibi ai monaci, ne dettero anche a lui. Fu di ciò soddisfattissimo e si sentì più confortato e deciso ad affrontare nella sua interezza l'austerità della regola (HIERON. PLATI, 1. 3, De bono status Religionis, c. 16).
   Cesario racconta un fatto molto simile. Nell'Ordine cistercense c'era un monaco, religioso d'abito più che di costumi, che, essendo medico, passava fuori monastero la maggior parte dell'anno e non vi tornava che nei giorni di festa. In una festa della Madonna, la vide entrare in coro con gran splendore e passare tra i monaci che cantavano, porgendo ad ognuno un cucchiaio di una certa bibita che aveva in una cassettina che portava in mano. Giunta presso di lui, passò senza dargliene e dicendo: Tu non ne hai bisogno, perché sei medico e ti curi già sufficientemente. Egli rimase triste, pensando alla sua colpa e di lì in poi cambiò vita: non usciva che quando glielo comandavano e si mortificava molto. Nella seguente festa della Vergine, essa comparve come la volta precedente e passò tra i monaci dando a ciascuno lo stesso liquore. Giunta à lui gli disse: Giacché ti sei emendato, posponendo le tue medicine alle mie, eccoti il mio liquore: bevi come gli altri! E la soavità fu tanta che da allora restò saldo nell'esercizio della vita comune, disprezzando tutti i diletti: aveva bevuto il liquore della devozione che rende tutto saporoso! (Dialog., 1. 7, c. 48).
   Racconta lo stesso Cesario che nel monastero di Chiaravalle si presentò un ecclesiastico di vita molto ricercata, che non poteva vedere il pane del convento perché era troppo rozzo; al solo pensare di doverlo mangiare si sentiva male. Una notte gli apparve Cristo nostro Signore con un pezzo di quel pane e, porgendoglielo, gli disse di mangiarlo. Ma egli rispose che non poteva proprio mangiare quel pane d'orzo. Cristo allora lo bagnò nel sangue che sgorgava dal suo costato e gli ordinò di mangiarlo; egli ne mangiò e lo trovò più dolce del miele. Da allora in poi mangiò sempre tutti i cibi della comunità che prima non poteva mangiare, perché gli sembravano grossolani, trovandoli saporitissimi (L. c., l. 4, c. 80).
   Nelle Cronache dell'Ordine francescano si racconta che nel famoso Capitolo, chiamato delle Stuoie perché le tende erano state poste in aperta campagna, con ripartimenti formati da stuoie, nel quale si riunirono cinquemila frati e fu presente anche S. Domenico, i frati erano animati da tanto fervore e spirito di penitenza che era necessario frenarli. Pertanto, essendo S. Francesco stato informato che molti portavano corazza e cotte di maglia sopra la carne ed altri cerchi di ferro, e che perciò molti si ammalavano e non potevano pregare e servire l'Ordine come si doveva, e che alcuni persino ne morivano, ordinò per obbedienza che si togliessero tutti gli strumenti di penitenza e glieli portassero; gli strumenti di penitenza messi insieme così furono circa cinquecento. Ora, mentre con tanto fervore si teneva quel capitolo, per trattare del progresso dell'Ordine, fu rivelato a S. Francesco che in un ospedale tra la Porziuncola ed Assisi si era riunito un altro capitolo, di diciottomila demoni, contro quello riunito da lui. In quel capitolo furono dati molti e sagaci consigli circa il modo di vincere e distruggere l'Ordine e i suoi seguaci, ma infine parlò un demonio più astuto e fine degli altri, il quale disse: Quel padre Francesco col suo Ordine e con tutti i suoi seguaci vive con tanto fervore, così separato dal mondo, insieme ai suoi frati ama Dio con tanta forza e si occupa tanto efficacemente nella preghiera, tormenta tanto il suo corpo che par certo non si possa far per ora nulla contro di loro; vi consiglio di non prenderla troppo a cuore; lasciamo che chiudano gli occhi questi e che vengano altri frati; allora faremo entrare nell'ordine giovani senza zelo di perfezione, vecchi attaccati al loro onore, nobili abituati alla vita comoda, dotti arroganti e di scarsa salute e tutti li faremo accogliere per sostenere l'onore ed il numero; in questo modo li trascineremo tutti all'amor proprio e delle cose del mondo, all'amore per la scienza e le arti, e potremo vendicarci attirandoli a nostro piacere. Il consiglio sembrò ottimo a tutti e rimasero soddisfattissimi di questa speranza (Part. I, l. 1, c. 53).

[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].