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venerdì 29 giugno 2018

Suore di clausura a Vicenza

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Alle donne venete che cercano un buon monastero di suore di clausura a Vicenza, o in altre città italiane, nel quale poter fare un'esperienza vocazionale per riflettere sullo stato di vita da eleggere, consiglio di scegliere uno tra i migliori, cioè uno nel quale il carisma dell'Ordine religioso preferito viene vissuto con maggiore perfezione e carità. La vita religiosa è meravigliosa, poiché consente di vivere più uniti a Gesù buono e di seguire più facilmente la via della perfezione cristiana.



Bisogna darsi da fare per ubbidire alla divina vocazione. Ecco cosa diceva Sant'Alfonso Maria de Liguori: Ho detto che le religiose che si son date tutte a Dio godono una continua pace; ciò s'intende di quella pace che può godersi in questa terra, che si chiama valle di lacrime. In cielo Dio ci prepara la pace perfetta e piena, esente da ogni travaglio. Questa terra al contrario è luogo per noi di meriti; e perciò è luogo di patimenti, ove col patire si acquistano le gioie del paradiso. 



[…] Vi prego poi, per quando avrete preso il santo abito, a rinnovare ogni giorno la promessa che avete fatta a Gesù Cristo di essere fedele. L'amore e la fedeltà sono i pregi primari di una sposa. A questo fine sappiate che poi vi sarà dato l'anello, in segno della fedeltà che dovete osservare del vostro amore che avete promesso a Gesù Cristo. Ma per esser fedele non vi fidate della vostra promessa; è necessario che sempre preghiate Gesù Cristo e la sua santa Madre che vi ottengano la santa perseveranza; e procurate di avere una gran confidenza nell'intercessione di Maria che si chiama la madre della perseveranza. E se vi sentirete raffreddata nel divino amore e tirata ad amare qualche oggetto che non è Dio, ricordatevi di quest'altro mio avvertimento; allora, affinché non vi abbandoniate alla tiepidezza o all'affetto delle cose terrene, dite così a voi stessa: E perché mai ho lasciato il mondo, la mia casa ed i miei parenti? forse per dannarmi? Questo pensiero rinvigoriva s. Bernardo a riprendere la via della perfezione quando si sentiva intiepidito […]. Ma bisogna che io termini di parlare, mentre me lo comanda il vostro sposo, che ha premura di vedervi presto entrata nella sua casa. Ecco, mirate da qui con quanto giubilo vi aspetta e uditelo con quanto affetto vi chiama, affinché presto entriate in questo suo palazzo regale, quale appunto è questo monastero. Andate dunque ed entrate allegramente, mentre l'accoglienza che stamattina vi sarà fatta dal vostro sposo, nel ricevervi in questa sua casa, vi è come una caparra dell'accoglienza ch'egli vi farà in vostra morte quando vi riceverà nel suo regno del paradiso."



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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez, S. J. (1526-1616).

Di un altro mezzo che ci sarà di grande aiuto a raggiungere la povertà in spirito e conservarci in essa

   Ci sarà anche di grande aiuto a conservare la povertà in spirito e realizzarne la perfezione, non soltanto disfarci delle cose superflue, ma cercare che anche nelle cose necessarie di cui dobbiamo usar per forza, risplenda la virtù della povertà in modo che in essa sembriamo poveri, quali siamo. Ce lo raccomanda il nostro santo Padre nelle Costituzioni: La maniera del vitto, vestito e letto sarà come cosa propria; da poveri; e ciascuno si persuada che delle cose di uso gli gioveranno le peggiori per sua maggiore mortificazione e profitto spirituale (Exam., c. 4, § 26. Sommario di Regole, n. 25). Altrove dice: Amino, tutti la povertà come madre e, secondo la misura della santa discrezione, al tempo opportuno, provino alcuni effetti di essa; e non usino cosa alcuna come propria (Const. p. 3, c. 1, § 25, Reg.24, l. c.). Vuole il nostro santo Padre che abbiamo ciò che è povero e quanto di peggio esiste, che la nostra povertà non sia tutta in desideri e velleità, ma che certe volte ne sentiamo realmente gli effetti (Const p. 3, c. 2 § 3 e,let. G.). Di modo che, pur non mancando del necessario alla vita, ci sia sempre qualcosa che provi la nostra virtù. E non si accontentò di dire ciò in generale una o due volte, ma poi, nella sesta parte delle Costituzioni (Const., p, 6, c. 2, § 15 e in declarationibus), descrisse di proposito quale deve essere il nostro abito, perché, rimanendo un abito religioso e adatto al nostro ministero, sia conforme alla povertà che professiamo. E dice che deve rispondere a tre qualità: che sia onesto, perché siamo religiosi; che sia rispondente all'uso del paese in cui viviamo, perché il nostro tenore di vita è comune, quanto all'esteriore; e che non sia contrario alla povertà. Spiega ancora più dettagliatamente che sarebbe contrario alla povertà un abito confezionato con panno molto costoso. Pertanto se genitori, parenti, amici o benefattori, volessero regalarci del panno fine, non dovremmo usarlo, perché non sarebbe vestire da povero, né in conformità alle nostreCostituzioni. Alcuni adducono la ragione che usando del buon panno si risparmia, perché dura il doppio o il triplo e così si osserva meglio la povertà. Ma queste san ragioni secondo il mondo e la carne: vale più che nel nostro abito risplenda la povertà e che si veda che siamo veramente poveri, perché vestiamo da poveri, che non il risparmio. Inoltre, la povertà deve risplendere non soltanto nella qualità della stoffa, ma nella manifattura: se si usasse un vestito di taglio perfetto, ampio e lungo, quello non sarebbe un abito da religioso povero.
   Di due cose soltanto vuole il santo Padre che si tenga conto nell'abito: che sia onesto e decente e che difenda dal freddo, perché questi sono i due scopi per cui è stato istituito. Tale è la dottrina di S. Basilio che riferisce il pensiero di S. Paolo: «Quando abbiamo dunque il nutrimento e di che vestirei, di questo contentiamoci» (1 Tim 6, 8). Il santo dice: Notate che si parla di nutrimento, non di piacevoli leccornie; si parla «di che vestirci», non della varietà di un abbigliamento ricercato. Deve bastarci il solo necessario; tutto il di più che parla di vanità e ostentazione deve essere esiliato dalla vita religiosa, e non è da permettersi in nessun modo, essendo segno di vanità e di profanità: sia messo fuori, perché non penetri il mondo tra noi! (Reg. fusius disput. interrogat. 22, n. 2).
   Oh, come per la sua religione temeva S. Francesco tutto ciò! Si racconta nelle sue Cronache che frate Elia, uno dei suoi frati più importanti, che fu poi Maestro Generale, si fece un abito lungo ed ampio, con larghissime maniche, di panno di valore. S. Francesco lo chiamò in presenza degli altri frati e gli disse di prestargli quell'abito che indossava; il santo se lo mise sul suo, ne aggiustò bene le pieghe e il cappuccio e ripiegando le maniche con gesto vanitoso, cominciò a camminare a testa alta, col petto gonfio e con passo solenne, mentre con voce sonora e grave salutava i frati che erano presenti: Gente onorata! Dio vi saluti! I frati lo guardavano stupiti. Fatto ciò, con zelo e fervore, si tolse l'abito con gesto duro, lo gettò lontano da sé e disse a frate Elia, in modo da essere sentito da tutti i presenti: così vestono i bastardi dell'Ordine! Rimasto col suo umile saio, stretto e corto, e riprendendo il suo volto lieto e mansueto, cominciò a parlare coi suoi frati, insegnando mansuetudine, povertà ed umiltà (Part. I; c. 19).
   Non vogliamo essere anche noi figli bastardi della nostra Religione, ma legittimi, nei quali traspaia la nostra madre, la santa povertà. Il nostro vestito deve essere quello proprio dei poveri, la povertà deve splendere in esso e mostrare che siamo poveri. E perciò deve essere un po' inferiore a quello che potremmo portare decentemente e di quello che secondo il parere del mondo ci è adatto. Perché non è povero nel vestito chi porta alla perfezione tutto quello che è necessario, né mostra da nessun segno che è povero, ma colui a cui manca qualcosa del necessario. Come abbiamo detto più su, la povertà perfetta sta nel godere che ci manchi qualcosa nel necessario: chi non volesse soffrire per nessuna indigenza non sarebbe giunto alla perfezione della povertà in spirito.
   Ciò che abbiamo detto del vestito vale per tutte le altre cose. Dobbiamo far sì che risplenda in tutte la virtù della santa povertà, e che sia evidente che siamo poveri; in camera non dobbiamo avere che il necessario, e della peggiore qualità, il tavolo più povero, il letto peggiore; quanto c'è di meno buono in casa sia per te; riporta in biblioteca i libri che non ti sono necessari e non volerne tener molti in camera per darti importanza. S. Bonaventura scende anche a particolari più minuti, raccomandando al religioso che non voglia tenere se non le cose necessarie, e anche quelle siano delle meno ricercate, non lucidate, ma grezze, vecchie e rappezzate (De informat. Novitior., p. 2, c. 9). Non volere che i libri siano ben rilegati, né che il breviario o il diurno siano rari o eleganti. Non cercare immagini rare, né rosari di valore, e se tieni qualche Agnus Dei, qualche croce o qualche reliquiario di tua devozione, sia anch'esso conforme alla povertà che professiamo; quanto più povero sarai in tutto ciò, tanto più piacerai al Signore e ai santi.
   Diceva S. Francesco che l'avere oggetti curiosi e non necessari è segno di spirito morto, perché la tiepidezza nella grazia con che si dovrebbe coprire se non con queste cosucce? Non trovando conforto nelle cose spirituali, lo si cerca nei trattenimenti esteriori. È questa una verità confermata tante volte dall'esperienza e perciò i nostri superiori insistono tanto sulle piccole cose, prima di tutto perché hanno per oggetto la povertà e poi perché non ha spirito chi si diletta di simili cose. E non soltanto in questo, ma anche nelle cose necessarie, come già s'è detto, dobbiamo essere poveri e mostrare che lo siamo, rallegrandoci di soffrire qualche privazione per amore di Cristo nostro Signore, il quale si fece povero per noi, pur essendo ricco. (II Cor 8, 9), e volle soffrire tanta privazione nelle cose necessarie sopportando fame, sete, freddo, stanchezza e nudità. Di tali beni, dice S. Bernardo, aveva dovizia eterna in cielo, la povertà non si trovava lassù, abbondava invece e sovrabbondava in terra e l'uomo ne ignorava il pregio: bramoso di essa il Figlio di Dio scese in terra, la prescelse per sé, affinché noi pure, per la stima che egli ne fece, la riputassimo preziosa (Serm. I in vigilia nativ., n. 5). Come saggio mercante si caricò di essa come di una preziosa mercanzia, perché anche noi ne facessimo ricerca, comprendendo quanto vale per il regno dei cieli.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di cristiane virtù" di Padre Alfonso Rodriguez].